Venezia - Gerusalemme - Betlemme / 2004

 
 

1^ tappa: 1 agosto 2004

Venezia -Gorizia km. 127


All'ombra del campanile di San Marco

Partiti! Sono momenti che fino all'ultimo giorno sembrano non arrivare mai. Durante la fase preparatoria - quando si studia il percorso, si decidono le tappe, si valutano gli alloggi, si prendono i contatti istituzionali, si decide l'attrezzatura, la partenza sembra un istante indefinito e atemporale, un buco nero nel nostro piccolo universo di viaggiatori ancora virtuali.

Non si riesce a vedere la fine del tunnel e poi, all'improvviso, arriva. Oggi ha il colore verde delle acque della laguna di Venezia, ha il colore delle facce accaldate e accalorate degli amici e dei parenti riuniti davanti la Basilica di San Marco, ha il gusto dell'adrenalina e della tensione, della frenesia degli ultimi preparativi, dei saluti, dei baci alle mogli, del profumo dei capelli dei propri figli.

Sono sensazioni difficilmente descrivibili, è anche e soprattutto per questo che ci piace viaggiare e costruire queste occasioni di scambio e di dialogo.

Foto di rito in Piazza San Marco, tra i colombi e i turisti incuriositi. Tra i molti amici (e il nutrito gruppo di Fontaniva si notava particolarmente) spicca la gradita presenza del senatore Giaretta, presidente dell'Associazione Interparlamentare Amici della bicicletta, che ha voluto unirsi simbolicamente a noi per accompagnarci, in bicicletta, fino a Gorizia, sede della prima tappa. Altra importante presenza è quella del dott. Armenio Vettori, presidente della sezione padovana dell'Ail, Associazione Italiana contro le leucemie, di cui portiamo con orgoglio il logo sulle nostre candide maglie (sperando che reggano alle ingiurie di 4.000 chilometri di asfalto ruvido e rugoso!).

Altra foto simbolica con gli amici di Padova che l'anno scorso sono andati da Oslo a Capo Nord, sempre per diffondere il nome e la bandiera dell'Ail. Passaggio di testimone dal freddo del Circolo Polare al clima torrido del Medio Oriente.

Ma tra i molti incontri e saluti ci ha colpito soprattutto quello avvenuto con una famiglia di israeliani, a Piazzale Roma, prima di giungere a piedi alla Basilica marciana, che dopo aver letto le nostre maglie e quindi la destinazione, VENICE-JERUSALEM, ci ha abbracciato e ha voluto farsi fotografare assieme a noi. SHALOM.

Speriamo che questo nostro desiderio di comunicare, molto modestamente, il nostro messaggio di pace, sia compreso da tutti con la stessa intensità e calore di questa famiglia di Gerusalemme. E' questo il sale del nostro viaggio: di ottimo auspicio.

Come tre anni fa la scelta suggestiva di lasciare via motonave il bacino di San Marco e fendere le acque lagunari per un'uscita alternativa a Piazzale Roma via Punta Sabbioni/Jesolo, già in direzione Est, è stata ottima. All'imbarcadero di arrivo troviamo un gruppo di amici in bicicletta che ci accompagneranno per tutta la prima tappa: sono gli amici bresciani di Bici di Pace che a fine agosto partiranno da Assisi verso Roma a portare un messaggio di pace in Vaticano. Hanno voluto condividere la nostra esperienza verso Gerusalemme e noi ne siamo ben lieti. Poi ecco i fidi amici di Romeo, del gruppo ciclistico Ballan, giunti in bici dalla provincia di Padova: alla fine saranno per loro ben 240 chilometri, ma il loro trenino ce lo ricorderemo a lungo. Grazie amici cari, alla prossima avventura, magari assieme.

Ore 10.55: finalmente la partenza effettiva, si pedala. Era ora.

Scegliamo la stradina lungo laguna che ci regala degli scorci di "barena", il viola acceso dei fiori selvatici, il bianco delle garzette in volo, qualche airone, molti gabbiani e - soprattutto - poco traffico. Ma il miracolo dura troppo poco ed ecco affrontare la Via Fausta, intasata di macchine di gitanti della domenica che si riversano sul lungomare veneto. La nostra fuga verso oriente cerca di accelerare il rimo per scappare da questo inferno. Chi è più matto tra noi che pedaleremo per 4000 chilometri in condizioni estreme di caldo soffocante o chi è rinchiuso dentro questi abitacoli soffocanti, pur con aria condizionata? Noi una risposta ce l'abbiamo, ma ognuno ha i propri gusti, da rispettare. Noi comunque, cerchiamo di scappare dall'inferno.

Inferno che però è allietato dalla presenza dei molti platani - troppo spesso adornati da tristi ed inquietanti mazzi di fiori - che almeno offrono un po' di riparo e frescura. Per il resto, lunghi rettilinei, strada stretta e trafficata tanta attenzione, soprattutto per Alberto Fiorin che tre anni fa ha lasciato da queste parti il suo sogno di raggiungere in bicicletta Piazza Tienanmen a causa di una caduta omerica.

La strada non è certo la più attraente di tutto il percorso e questo rende ancor più onore ai nostri amici che ci hanno accompagnato nonostante tutto questo.

Sosta pranzo al volo, molto informale, lungo la strada, nei pressi di S. Michele al Tagliamento, a petto nudo tra panini, soppressa e ottimo prosecco offerto dall'amico Prevedello. Cementata l'amicizia tra accompagnatori e ciclisti. Del resto le prime tappe servono proprio a trovare i ritmi, le cadenze arrugginite ancora nei ricordi lontani delle esperienze precedenti.

E comunque il gruppo si dimostra agguerrito e "tosto": la relativa brevità della tappa scatena i più scalpitanti e la media totale ne risente: decisamente superiore alle aspettative, con "trenate" financo eccessive. I prossimi giorni dovremo regolarci: purtroppo quest'anno ci manca il nostro capitano Aldo, uomo giudizioso e rispettato, autorevole e non autoritario. Dovremo comunque cercare un assetto più da viaggio e meno da corsa. Ma anche queste piccole sfide sono in fondo un piccolo diversivo e costituiscono argomento di discussione e di sfottò. L'unico vero rischio è che aumentano di molto le possibilità di caduta.

Tra una trenata e un'altra, arriviamo a Gorizia alle 16.30, ospiti della Caritas, del Centro di accoglienza per extracomunitari di Don Dipiazza. C'è sembrato simbolico e significativo dormire la prima notte del viaggio verso Gerusalemme in questa realtà di frontiera, in un posto dove si regala un po' di pace e di riposo a persone bisognose di tutto questo, clandestini fermati dalla polizia di frontiera a ospitati per qualche giorno in maniera generosa e cordiale.

E noi questa sera, nello nostre camerate a sei letti, ci riposeremo e caricheremo le pile verso Est tra queste persone sconosciute e sfortunate che dovranno affrontare un percorso, nella loro vita, sicuramente più insidioso e difficile del nostro.

Punto tecnico

Tappa breve, su strade nel complesso abbastanza trafficate, non esaltante ma almeno allietata dai dolci rilievi del Collio negli ultimi chilometri. La corona di vette che circondano Gorizia sono un anticipazione delle montagne slovene che affronteremo domani.

Nessun problema, una foratura di Ineke, l'amica olandese che ci ha accompagnato fino a Gorizia dimostrando ottime doti di fondo assieme al suo compagno Silvano, nostro amico di  Favaro Veneto, presidente della locale società ciclistica, campione d'Italia di cicloturismo nel 2002 e 2003.

La scelta di effettuare una tappa breve si è rivelata vincente: l'esperienza di 3 anni fa, 170 chilometri e i ciclisti arrivati stravolti per la tensione e le molte emozioni della giornata, ci ha servito. Le lezioni sono utili: ne terremo presente anche negli prossimi giorni.

Media 28,5 km/h Partenza ore 10.55 Arrivo ore 16,30 Ore effettive di corsa 4,26



2^ tappa: 2 agosto 2004

Gorizia - Zuzemberk km. 164 (291)


La prima frontiera

Il gruppo ha ricominciato a muoversi, a sussultare: dopo 3 anni di stand-by i nostri vecchi cuori di viaggiatori hanno ripreso a palpitare, a fremere, anzi a scalpitare. E dopo le sensazioni del ritorno in sella, sperimentate ieri, ecco questa notte quelle della prima notte della carovana. Parafrasando lo slogan dell'AIL che sta caratterizzando il nostro viaggio, " I mille colori della vita", abbiamo vissuto l'esperienza dei "Mille rumori della notte". Sibili, sussulti, fischi: le due camerate hanno ribollito e sussultato durante le ore di buio. E' stato come se le impressioni delle ore di pedalata sotto il sole prendessero forma nei nostri sogni e nelle nostre menti rilassate - ma non ancora abituate ai ritmi della strada -  si materializzassero all'interno degli spaziosi stanzoni.

La nostra piccola comunità in movimento sta comunque riassaporando e riabituandosi ai ritmi propri del viaggio: sembra impossibile ma sono meccanismi che si riacquistano subito, come facessero parte del nostro patrimonio genetico. E' stata sufficiente ieri la prima cena - consumata all'aperto in un grande tavolone sotto la chioma protettrice di un vecchio albero ed ecco che di colpo si ristabiliscono e le cadenza giuste.

Questa mattina abbiamo ripreso il rito della vestizione, della abbondante dose di crema spalmata sul soprassella, la colazione, la riunione "tecnica" per stabilire, quantomeno in linea teorica, le soste da effettuare durante la giornata, prendere tutti i riferimenti geografici possibili per non perdersi e poi via, già si scalpita per rimontare in sella.

E alle ore 8.21 l'emozione di affrontare la prima frontiera, quella dell'ultimo muro abbattuto, la nostra piccola Berlino, Gorizia. Abbiamo scelto questo itinerario per la cittadina friulana proprio perché ci pareva significativo nel momento dell'allargamento dell'Europa a 25 nazioni.

E dalla frontiera una buona strada in direzione Ljubljana fino ad Ajdovscina, dove lasciamo la statale e ci inerpichiamo per la Selva di Piro: una strada di montagna larga, spaziosa, in mezzo agli alberi ma... abbastanza impegnativa. Sono 12 chilometri di salita costante, non terribile ma che mette a dura prova le doti di resistenza dei ciclisti, soprattutto dei 3 o 4 che non hanno avuto il tempo per effettuare un allenamento sufficiente.

La salita scatena gli istinti primordiali dei pedalatori più "agonisti" che vengono regolati da Bepi Pavan, che si dimostra decisamente il più preparato (del resto ha già più di 10.000 chilometri sulle gambe, oltre a delle doti atletiche decisamente invidiabili). Le gerarchie sono già abbastanza chiare... e siamo solo al secondo giorno.

Durante la discesa ci godiamo la vista di questa terra ricca e generosa, verdissima, con prati pettinati e curatissimi, con covoni di fieno giallo. E il nostro trenino bianco disegna una pennellata candida tra il giallo oro e il verde smeraldo. Siamo belli da vedere, senza falsa modestia, con maglia, casco e occhiali virginali.

I paesaggi, tipicamente montani, sono caratterizzati dalla presenza dei "toplarij",  tipici fienili di legno a rastrelliera sui quali l'erba è messa ad  asciugare. Memorie ancora attuali ma che appartengono ad un tempo andato, quello in cui ancora il legno la faceva da padrone.

Ma la Slovenia ci regala anche qualche incertezza, un paio di deviazioni e di "allungatoie" causate dalla scarsa presenza di cartellonista stradale. Chi ci rimette sono le nostre gambe, costrette a un surplus di fatica. Quella che si era prospettata come tappa abbastanza tranquilla, di soli 138 chilometri, si rivelerà alla fine di 163 con una salita impegnativa di 12 km e un'altra di 6 (tralasciando uno strappo, neppur troppo breve, al 15%).

Gli ultimi 15 chilometri sono spettacolari, sulla valle della Krka, all'interno dell'omonimo Parco Nazionale e l'arrivo è la suggestiva cittadina di Zuzembeck, dominata dalle rovine del massiccio castello medievale. Sotto di noi scorre una Krka fresca e ribollente, dalle acque invitanti. Il nostro alloggio è sulle rive dello stesso in un grazioso agriturismo, Koren, che ci apre la sue camere accoglienti attorno alle 18.30. C'è chi ha trovato il tempo di ristorarsi con una breve immersione nelle fresche acque della Krka, giusto coronamento di una tappa un po' più impegnativa del previsto.

Punto tecnico

Dopo la frontiera, strada statale per Ljubljana abbastanza trafficata ma poi si prende la stradina per la Selva di Piro: strada ampia, salita abbastanza impegnativa ma inserita in un panorama d'eccezione. Discesa marcata, poi tratto di statale di altri 20, quindi stradine secondarie con un tratto di circa 5 chilometri di sterrato (sufficienti per registrare la prima foratura del gruppo, di Romeo). Quindi su è giù peri monti della Slovenia, che non ci danno requie. L'arrivo a Zuzemberk è veramente desiderato da noi tutti. 

Partenza ore 8:15, arrivo ore 18.18, media oraria 25,1 tempo effettivo h. 6.10 .Km parziali 163, km totali 290


3^ tappa : 3 agosto 2004

Zuzemberk -Kutina km. 207 (498)


Saliscendi croati

Sveglia alle ore 6.00: non crediate che siamo qui per riposarci! E' un po' paradossale, forse, ma i nostri ritmi ci tengono impegnati per parecchie ore al giorno. A colazione troviamo una sorpresa, un'abbondante frittata di funghi che fa storcere il naso a qualcuno ma che molti altri apprezzano: proteine al mattino sono sempre bene accette. Lo scenario è veramente notevole: siamo su di un prato sulle rive della Krka, a 15 metri dal fiume.

Ma è già tempo di menare i pedali e si parte. Alle 7.45, con tre quartoi d'ora di ritardo sulla tabella di marcia convenuta collegialmente la sera prima. Così, di primo mattino, ci godiamo la valle della Krka. un vero e proprio patrimonio naturale sloveno: la strada corre alto e ci regala degli scenari mozzafiato sulle acque che scorrono sotto di noi. E' l'ora più bella per pedalare, le gambe girano che è un piacere, il clima è ancora fresco e il panorama indimenticabile. l'umidità della notte svapora lasciando intravedere il tetto delle case, le chiome degli alberi, le colline. E' la prima volta, dopo due tentativi effettuati tre anni fa, che riusciamo a goderci questo percorso tanto decantato: nelle due precedenti occasioni la pioggia aveva tolto un po' di piacere alla nostra visita. Potessimo noi amanti della bicicletta avere a disposizione una pista ciclabile, questa strada potrebbe diventare famosa come la Pista Ciclabile del Danubio: come bellezze naturali e artistiche non ha nulla da invidiare al più conosciuto e celebrato fiume blu.

Planiamo piacevolmente su Otocec - e il suo bel castello - ci gustiamo gli occhi attraversando il bel ponte in legno della cittadina di Kostanjevica e attraversiamo più volte il fiume che sembra giocare con noi, quasi a volerci trattenere a rimirarlo e a scoprirne le diverse facce, le tante prospettive.

Ma dopo una settantina di chilometri arriviamo a Bregana, al confine tra Slovenia  e Croazia. L'unico problemino (che comunque già conoscevamo) è che la frontiera è aperta solo per i residenti e abbiamo dovuto impietosire i militari per farli passare. Ma i ciclisti, spesso, trovano le porte aperte e chi è disposto a chiudere un occhio  per favorirli; quello che ci ha stupito è stato il trattamento di favore riservato al nostro furgone, anch'esso ammesso al transito. Siamo comunque convinti che più che la spiegazione della destinazione finale e le nostre idealità, abbia potuto più il fascino e la caparbietà della nostra autista Franca.

Qualunque cosa sia stata la ragione, siamo passati anche attraverso la seconda frontiera del nostro lungo viaggio. Puntiamo decisamente verso Zagabria ma già si vede subito che siamo in un altra nazione: se la Slovenia ci ha regalato dei nastri d'asfalto dignitosissimi, qui in Croazia invece ci troviamo già alle prese con tratti sconnessi, spesso addirittura in lastra di cemento malamente connesse tra loro e quindi con profonde scanalature tra l'una e l'altra. Noi ormai le chiamiamo in maniera onomatopeica "knok-knok-knok road" dal simpatico concertino delle 22 ruote che passano di gran carriera sopra ogni lastra. Da diventare scemi. E anche braccia e palmi delle mani a fine giornata saranno messi a dura prova.

A Zagabria, capitale croata, imbocchiamo un trafficato stradone che ci accompagna fino al centro e poi si trasforma in una ampia strada con corsie per le macchine e molte rotaie dei tram che rendono molto dura la vita dei ciclisti (c'è da dire che in effetti quella strada era interdetta alle bici ma non ce la siamo sentita di tornare indietro e ci siamo concessi una trasgressione). Trasgressione che però, effettivamente, ha aumentato i rischi, con le macchine che ci superavano a destra e i tram a sinistra. Cercheremo di stare più ligi, ne vale la pena!

Del resto, le strade croate, che ben conosciamo, non son certo tra le migliori d'Europa e le maledizioni che ognuno di noi quest'oggi ha tirato stanno a dimostrare che, pur col passare degli anni, le condizioni non sono di molto cambiate: buche, tombini, avvallamenti, crepe, sassi. sembrano fatte apposta per togliere la voglia di andare in bicicletta. Ma la nostra voglia non ce la toglie neppure il casellante dell'autostrada che ci rispedisce indietro, nonostante 3 anni fa ci avessero concesso il passaggio senza tanti problemi. Questo contrattempo ci fa perdere un'ora di tempo e ci fa saltare il pranzo, già programmato tra l'una e mezza e le due. L'unico aspetto positivo del tratto di strada attorno a Zagabria è stata la pioggia che ci ha rinfrescato e i cui scrosci sono stati accolti con gioia da tutti noi ciclisti (anche se le maglie bianche ovviamente risulteranno assai provate)

Gli ultimi 80 chilometri della giornata, (sì avete letto bene: tra qualche deviazione, l'inghippo dell'autostrada e le stradine secondarie finali abbiamo effettivamente percorso ben 207 chilometri!) sono stati abbastanza difficili proprio per le condizioni del fondo stradale. Ma proprio in questo tratto, passando per paesini rurali, per piccoli villaggi o addirittura per case isolate, il nostro trenino bianco ha ricevuto spesso l'incitamento convinto e caloroso dellagente lungo la strada, bambini o adulti, anziani o donne impegnate ai lavori dei campi e alla raccolta delle verdure. E' una bella soddisfazione, un piccolo ricordo in corsa regalatoci reciprocamente.

Al chilometro 207 arriviamo finalmente a Kutina, nostra sede di tappa, dove ci aspetta l'amica Justina, che abbiamo conosciuto 3 anni fa durante la nostra avventura verso la Cina, segretaria della vivace comunità di bellunesi emigrata in Croazia da oltre 150 anni. Ci ha organizzato un'intervista con la televisione Croata NET TELEVISION, che ci ha dedicato un servizio speciale che andrà in onda domani sera, e anche un piccolo rinfresco, informale ma molto caloroso, come piace a noi, davanti a una buona fresca "pivo" (birra) durante il quale abbiamo consegnato loro un dono del Comune di Venezia, capoluogo di quella regione dove sono nati gli avi degli appartenenti a questa piccola comunità, peraltro attivissima. Ci è sembrato il giusto modo per far sentire loro il nostro affetto.

Poi, alle 21.00, questa lunghissima giornata si conclude davanti ad una tavola imbandita.

Punto tecnico

Da favola i primi 60 chilometri, lungo il corso dei fiumi Krka e Sava, assai poco romantico lo stradone che taglia la periferia di Zagabria, quasi da incubo un tratto di 20 chilometri all'uscita dalla capitale croata, piacevolmente immersi nella campagna i 50 finali, anche se mossi da saliscendi che non agevola il compito dei ciclisti.

Nessuna foratura.

Partenza ore 7.45, arrivo ore 18.20, media oraria 26,4, tempo effettivo h. 7.51  km 207, Km parziali 497


4^ tappa: 4 agosto 2004

Kutina - Vinkovci km. 189 (687)


Ponti di pace tra le tracce della guerra

Anche oggi la sveglia suona alle 6.00 e le facce sono la fotografia di un sonno troppo risicato, anche se intenso e ben meritato per tutti.

Ad attenderci, davanti all'albergo, abbiamo trovato ancora la troupe di NET Television che ha voluto riprendere le fasi della preparazione del furgone e della partenza del gruppo che è sfilato compostamente davanti alla telecamera. Questa sera in Croazia ci vedranno e domani certamente qualcuno ci riconoscerà per la strada e ci saluterà in maniera ancora più calorosa di quella già intensa e simpatica di questi giorni.

Abbiamo avuto ancora modo di salutare nuovamente Giustina e Bernardo, il cui faccione simpatico è rimasto impresso in tutti noi. Italiano di passaporto, con i nonni di Longarone e molti parenti ancora nel bellunese, parla un misto di veneto arcaico inframezzato dai suoni duri e spigolosi della "c" e della "q" tipici delle lingue slave. Conserveremo con piacere il gagliardetto della loro comunità, che coniuga il tipico profilo di Dante con i confini della Croazia, i loro punti di riferimento.

Alle 8.00 si comincia a pedalare e restiamo a bocca aperta: i primi 10 chilometri li percorriamo in un clima autunnale, con una spessa coltre di nebbia che ottunde e nasconde il panorama circostante. Riesce perfino ad inghiottire un'alta ciminiera di una fabbrica puzzolente sotto cui pedaliamo. La stradina che affrontiamo è di campagna, poco trafficata e assai piacevole ed è popolata da una nutritissima colonia di cicogne. Gli enormi uccelli spesso al nostro passaggio spiegano le ali in volo e ci inseguono per qualche metro. Animali migratori per eccellenza, ci illudiamo che vogliano salutare in questo modo, accompagnandoci simbolicamente verso la nostra meta lontana.

Ma se la cicogna è per tutti noi un simbolo positivo, di fertilità, di creazione, la sua visione ha toccato particolarmente le corde del cuore dell'amico Romeo, diventato per la prima volta nonno solo sette giorni prima della partenza.

Le maestose cicogne ci indicano la stradina - sempre poco trafficata e che possiamo percorrere pedalando affiancati per scambiarci con tranquillità le nostre impressioni - che ci porta direttamente nella  Slavonia e quindi ci fa toccare con mano le tracce, ancora evidentissime e drammatiche, della recente guerra di una decina di anni fa che ha sconvolto questa regione e la sua popolazione. La Slavonia infatti è stato uno dei principali epicentri del terremoto etnico che ha sconvolto le popolazioni della Jugoslavia nel momento del suo dissolvimento. E noi ce ne accorgiamo immediatamente: sono infatti le case che parlano da sole, più che gli uomini: le case infatti rappresentano il senso di appartenenza, il legame col territorio, le proprie radici. Qui moltissime sono state abbandonate (la pulizia etnica è stata spietata), molte altre riportano evidenti segni di sventagliate di mitra e di colpi di fucile, vetri rotti, tapparelle crollate, qualche tetto crollato può far supporre anche l'impiego di granate. Insomma tutto è ancora lì (sembra che sia stato lasciato appositamente e non è cosa da escludere) ad imperituro ricordo di ciò che è accaduto e non si può che restare impietriti. La strada si incunea per un tratto di una cinquantina di chilometri e in pratica si attraversa un unico villaggio allungato, una serie infinita di case che si susseguono su ambo i lati di quest'unica arteria. Ma è un villaggio enorme, disteso per chilometri e chilometri, con molti nomi diversi ma senza un centro, un agglomerato. Sembra una quinta teatrale, un fondale da film western, con una sola fila di case e dietro i campi a perdita d'occhio. I cartelli ci indicano località come Banija Luka ed Osijek che ci hanno fatto rabbrividire solo 12 anni fa davanti alla televisione.

Troviamo anche un paradossale ma reale cartello stradale dell'Europa, sperando che la Comunità Europea sia il simbolo dello spirito di pacificazione e del desiderio di convivenza.

Si pedala di buona lena ma con un ritmo più regolare e un po' meno intenso dei giorni precedenti: probabilmente stiamo assimilando la giusta cadenza.

Alle 13.30 sosta per un'abbondante spaghettata e osservando le nostre pance ci stiamo accorgendo che forse stiamo mangiando più di quanto non stiamo consumando. Ma vi garantiamo che 2 chili e mezzo di pasta durano ben poco (e siamo in 13 persone)!

Nel pomeriggio copriamo di buona lena i 40 chilometri restati e continuiamo ad attraversare questa sorta di villaggio allungato, dove anziani vestiti di nero ci osservano in silenzio sfrecciare mentre cercano un po' di frescura all'ombra degli alberi. I bambini invece e anche molti automobilisti ci salutano con affetto, con grida di richiamo e colpi di clacson che ci fanno molto piacere.

Anche una simpatica e corpulenta signora a bordo di una bicicletta che vende gelati ci incrocia e strombazza un benaugurante "po-ti-po-ti".

Questa sera dormiamo a Vinkovci, cittadina a 17 chilometri da Vukovar, altra città martire della guerra jugoslava. E domani ci passeremo.

Punto tecnico

Tappa molto bella, strada piacevole, tranquilla, che consente di pedalare affiancati chiacchierando. E' una tappa che potremmo definire, con un termine ciclistico, di scarico dopo le fatiche dei due giorni precedenti, nonostante il chilometraggio non trascurabile, 189 chilometri. Ma oggi la strada è stata nostra amica - grazie a dei lunghi anche se impercettibili falsopiani in discesa -  il tempo un ottimo alleato dato che ancora non ci opprime con un caldo troppo afoso. Nessuna foratura. Oggi siamo tutti di buon umore e in ottima salute. Anche il nostro amico Giovanni, il "nonno" del gruppo, sessantaseienne bassanese di ferro, sta ottimamente recuperando dalla caduta avvenuta in allenamento 10 giorni prima di partire e che gli ha procurato una fastidiosa lussazione alla clavicola sinistra. Anche Antonio, il "bocia", che invece 3 mesi fa si è rotto i legamenti crociati del ginocchio destro e che ha voluto a tutti i costi essere del gruppo. Anche Francesco, che invece un mese fa è stato operato di menisco. Tutti bene, tutti in forma.

Partenza ore 7.45, arrivo ore 18.20, media oraria 27,1, tempo effettivo h. 6.58, km 189, km parziali 686


5^ tappa : 5 agosto 2004

Vinkovci - Novi Sad km. 108 (795)


Cristo si è fermato a Vukovar

Oggi il sonno è durato una mezz'oretta più del solito nelle stanze dell'Hotel Slavonia di Vinkovci, un albergo che conserva ancora le stimmate dell'hotel di stato - ai tempi della Jugoslavia per capirci - con personale non particolarmente affabile e un cameriere anziano straordinariamente poco sveglio.

Tappa breve, dovrebbero essere solo 100 chilometri fino a Novi Sad, ma assai densa di significati, con l'attraversamento di altre zone dove si è combattuto con acrimonia, in particolare Vukovar, diventata in tutto il mondo il simbolo della guerra balcanica dei primi anni '90. Ed è proprio a Vukovar, dopo 17 chilometri, che ci accolgono ancora i cartelli che segnalano la presenza di campi minati (anche se in numero decisamente minore rispetto al nostro passaggio di tre anni fa).

Il centro della cittadina è quasi spettrale, sembra di essere protagonisti del film "Mezzogiorno di fuoco" con il passaggio lungo l'arteria principale su cui si affacciano tantissime case semidistrutte, letteralmente crivellate dai proiettili, i vetri rotti, le tapparelle crollate, la desolazione e la distruzione ancora ben tangibili. Interi caseggiati di molti piani completamente abbandonati e distrutti. E' come se la vita fosse scappata via di corsa da quelle quattro mura lasciando tracce domestiche come le tende, ormai sbrindellate, e poco più.

La grande cisterna di acqua, anch'essa crivellata dai colpi di mortaio, incombe su di noi e diventa oggetto delle nostre fotografie.Tra noi ci scambiamo poche parole: evidentemente non servono, le immagini parlano da sole. Continuiamo il nostro viaggio e dopo 4 chilometri troviamo il celeberrimo cimitero di Vukovar, diventato in pratica il monumento ai caduti di tutta la guerra dei Balcani.

Il nostro arrivo avviene in concomitanza con una importantissima ricorrenza: 9 anni dalla fine della guerra e il primo giorno della proclamazione della Repubblica Croata, avvenuta il 5 agosto 1995. Un drappello militare, autorità civili e religiose, una tromba commovente che intona il silenzio, rendono l'atmosfera carica di tensione ed emozione: questa gente ha visto e conosciuto probabilmente le moltissime persone sepolte in questo grande e verdissimo prato su cui risaltano migliaia di croci bianche. E tanti nomi - quasi tutti maschi dai trenta ai quarant'anni - suddivisi, nell'eterno riposo, per mese in cui sono morti, ottobre '92, novembre '92, macabro inventario di una morte assurda.

E noi lì, ad osservare questa scena, le televisioni, i cameramen, i giornalisti, con le nostre divise da ciclisti, un po' commossi e stupiti per aver scelto, inconsapevolmente, questo giorno significativo per portare il nostro omaggio a questo luogo.

Si rimonta in sella e la strada, molto piacevole, attraversa una zona intensamente coltivata, con vigneti a perdita d'occhio e distese di girasoli, con il capo chino, abbastanza appassiti e provati dal clima.

Probabilmente più di qualcuno pensa a se stesso tra qualche giorno, con il caldo e la fatica della strada che si accumulerà. Ma il pensiero è un flash che passa subito, anche perché i continui saliscendi - con pendenze significative - distolgono dalle similitudini e riportano immediatamente alla realtà.

Ma ad certo punto ci appare improvvisamente alla nostra sinistra. E' sul ciglio della strada, e lo eleggiamo immediatamente ad emblema di questa giornata, sintesi estrema del nostro passaggio in questa terra martoriata: un crocifisso cui mani ignote hanno strappato braccia e gambe. E' restato solo il torso inerme, mutilato, indifeso, smembrato: questa immagine rappresenta in qualche modo il nostro ricordo di questa terra.

Stiamo puntando verso la Vojvodina, regione della Serbia-Montengro al confine con l'Ungheria. La frontiera tra Croazia e Serbia-Montenegro la affrontiamo a Ilok, dove passiamo abbastanza tranquillamente quella croata poi affrontiamo un lungo ponte sul Danubio e ci sottoponiamo al più scrupoloso controllo serbo. Un'arcigna soldatessa sfoglia svogliatamente i nostri passaporti e resta stupita al nome dalla nostra destinazione finale, Gerusalemme; comunque nel complesso passiamo velocemente e anche il furgone non subisce controlli troppo attenti.

Si riparte per gli ultimi 40 chilometri, durante i quali si rifanno vive le temibili buche e scanalature dell'asfalto. La stradina corre lungo grandi campi di patate e di cipolle, esposte in vendita dentro grandi sacchi lungo il ciglio.

Più di qualche volta ci troviamo a superare carretti scalcagnati trainati da un cavallo con a bordo famiglie di zingari dalla pelle e dagli occhi scurissimi. Abbiamo la percezione di essere sempre più distanti da casa, dalle nostre abitudini, dalle nostre sicurezze, rappresentate anche dalle fattezze umane simili a noi. Siamo sempre più pronti ad immergerci nelle novità.

E alle 14,40 arriviamo a Novi Sad, città il cui solo attraversamento ci fa convenire con gli amici Emilio Rigatti, Paolo Rumiz e Francesco Altan, che nel libro in cui raccontano del loro viaggio attraverso i Balcani affermavano di aver visto proprio in questa città le più belle donne di tutto il loro percorso. Condividiamo in pieno.

Questa sera ci aspetta l'amica giornalista Nada, che già tre anni fa ci ha accolto nella sua città, e assieme a lei parteciperemo ad una cerimonia pubblica in nostro onore.

Punto tecnico

Tappa breve, proprio perché sapevamo di avere un impegno istituzionale. Solo 108 chilometri su strade minori, anche se dopo l'ingresso in Serbia-Monenegro l'asfalto è di molto peggiorato.

L'attraversamento della frontiera non ci ha fatto perdere tempo. Dopo l'attraversamento della città di Novi Sad siamo stati ospitati in accoglienti bungalow in riva al Danubio, che qui cambia nome e si chiama Dunav.

Ottimo relax, ci voleva.

Partenza ore 7.50, arrivo ore 14.26, media oraria 25,6, tempo effettivo h. 4.15, chilometri 108, km parziali 794


6^ tappa : 6 agosto 2004

Novi Sad - Velika Plana km. 189 (984)


Mostar & Co.

Ieri sera siamo stati invitati ad una pubblica cerimonia in riva al Danubio, su una delle spiagge più popolose e frequentate di Novi Sad. Tra bar, tavolini, venditori di pop corn e di palacinke, (paese che vai, dolce che trovi) era allestito un palco dove si è svolta questa serata in cui abbiamo presentato il filmato del viaggio precedente che conteneva anche immagini della città di Novi Sad.

Il luogo era particolarmente significativo, esattamente sotto i monconi del grande ponte bombardato nel 1999 e che è stato un altro simbolo della guerra dei Balcani. Per noi Ponti di pace essere sotto quel moncherino di ponte, in ricostruzione, è stato una forte coincidenza e chissà che ben presto finiscano i lavori e dopo 5 anni si possa di nuovo attraversare il Danubio come si faceva prima della guerra.

Chissà che il ponte di Mostar, inaugurato pochissimi giorni fa, esattamente il 23 luglio - costruito dai turchi nel 1566 e distrutto il 9 novembre 1993 dall'artiglieria croato-bosniaca - faccia da apripista alla ricostruzione di tutti questi altri ponti distrutti, e che i ponti gettino le basi per il confronto e lo scambio. Perché i ponti uniscono e i muri dividono.

Discreto l'interesse suscitato dalla presentazione, abbiamo consegnato ai rappresentanti del comune dei doni istituzionali e poi ci siamo gettati a capofitto su un piatto di ottima carne, perché nel frattempo si era fatto tardi (oltre le 10 di sera) e più di qualcuno brontolava per la fame. Comunque l'attesa è stata premiata e abbondantemente annaffiata dalle pivo spumeggianti. Cena con la rappresentante del Comune di Novi Sad, con l'amica Nada e con un giornalista di una televisione privata serba che al mattino, alle 7, ci ha fatto una lunga intervista portandoci in omaggio una bottiglia di ottimo grappa casalinga.

La partenza è avvenuta alle ore 7.45 e ormai siamo diventati bravi ad ottimizzare i tempi: colazione preparata da noi al di fuori  degli ottimi bungalow, spaziosi e dotati di ogni comfort, che ci hanno ospitato per la notte. Un lusso che ci siamo concessi per una notte e che abbiamo molto apprezzato. Comunque ormai, crolliamo tutti immediatamente non appena tocchiamo le lenzuola, con una guerra personale tra Romeo e Gianmaria per chi vince in velocità: al momento sono entrambi sotto i 10 secondi, tra l'invidia e lo stupore di tutti.

Oggi tappa molto temuta per tre motivi: la lunghezza (oltre 180 km), l'asfalto pessimo tra Novi Sad e Belgrado (77 chilometri) e l'attraversamento complesso ed articolato della capitale della Serbia-Montenegro.

Invece i nostri timori sono stati superati: la tappa è stata effettivamente lunga (189 km reali) ma abbiamo superato in scioltezza, di primo mattino, il pessimo tratto di lastroni di cemento fino a Belgrado, che ha messo sotto ulteriore stress il nostro fondoschiena, e il problema dell'attraversamento di Belgrado l'abbiamo risolto alla grande grazie all'amicizia

di due ragazzi - Milos e Vladimir - che, contattati precedentemente, ci hanno gentilmente aspettato lungo la strada e scortato nei grandi vialoni della capitale. Poi, assieme a loro, abbiamo condiviso il pranzo alle 14, 2 chili e mezzo di pasta (sempre di più!!!) organizzato su due piedi dalla nostra straordinaria Franca, che si sta rivelando giorno dopo giorno il punto di forza dell'intera spedizione: ci incoraggia quando serve, ci sprona, ci vizia, insomma veramente una presenza importante e gradita.

La strada dopo Belgrado è molto migliore rispetto a quella del mattino (che ha costretto a soffrire perfino il nostro fortissimo Bepi, che con buche e salti ha molto più problemi con il suo unico braccio) sfila tra grandi coltivazioni estese di patate e cipolle, in un'atmosfera bucolica caratterizzata dalla presenza dei venditori di angurie.

E proprio le angurie sono ormai diventate un agognato e puntuale appuntamento pomeridiano: ai 20 chilometri dall'arrivo ormai non ci toglie più nessuno la sosta-angurie, durante la quale vengono sacrificate all'altare della nostra goduria ben tre grosse angurie, cesellate dal coltello dell'incaricato  ufficiale, Romeo. E' uno dei momenti più intensi di tutta la tappa, òa soddisfazione e il piacere raggiungono dei vertici sommi. Chi non vive questa esperienza difficilmente può capire come con così poco si possano soddisfare tante persone.

Le scaramucce finali, che riprendono quelle del mattino, sono la degna conclusione di una tappa particolarmente significativa perché abbiamo superato i 1000 chilometri. Evviva!Non ci ferma più nessuno! Euforia, stiamo tutti bene, soprattutto dopo che effettuiamo il rito serale dei massaggi con le ottime creme Ozone, rinfrescanti e rigeneranti. Ne siamo veramente entusiasti.

Punto tecnico

Tappa lunga, nei primi 77 chilometri quasi drammatica, con un fondo stradale impossibile a lastre di cemento mal connesse tra di loro e una salita di 4 chilometri non del tutto trascurabile. Traffico pericoloso,insomma, uno schifo. Poi, dopo l'attraversamento di Belgrado, cambia tutto e la strada è piacevole, pur con qualche buca, ma ben pedalabile.

Partenza ore 7.45, arrivo ore 18.20, media oraria 27,1, tempo effettivo h. 7.02, chilometri 189.


7^ tappa: 7 agosto 2004

Velika Plana - Nis km. 156 (1140)


Il vialone d'arrivo della grande città di Nis ci riserva una sorpresa graditissima: una banda di ottoni, accompagnata da un paio di percussionisti, sta sfilando lentamente in un corteo nuziale. Sta accompagnando con canti e balli la promessa sposa, una bella ragazzina vestita da odalisca. Le facce scure da zingari, le gote gonfie di aria, la musica scatenata, gli occhi color pece: non poteva essere per noi approccio migliore, una full-immersion nelle atmosfere balcaniche, da Goran Bregovic.

Oggi la partenza è avvenuta dall'albergo di Velika Plana, situato in cima ad una verde collina e a fianco di un bel monastero ortodosso, alle ore 7.45. La strada che ci porta verso Nis scende dritta in direzione sud e corre a fianco dell'autostrada, che in questo caso ci aiuta di molto in quanto decongestiona il traffico sulla nostra piccola arteria che percorriamo quindi con tranquillità. Una tranquillità però sempre molto relativa poiché il fondo stradale è a volte terribile. Le nostre bici da corsa Wilier stanno rispondendo perfettamente ma sono sottoposte ad uno stress che non subirebbero nemmeno in 10 anni di corsa nelle nostre strade italiane. Riferiremo a patron Gastaldello.

Lo stress delle bici ricade tutto su Romeo che si è offerto di garantire la piena funzionalità di tutte i nostri mezzi e quindi quasi ad ogni sosta tira i raggi, verifica la corretta posizione delle selle, fissa le tacchette delle scarpe, sistema i freni. Ognuno infatti ha un ruolo all'interno della nostra comunità, chi fa anche il cameramen (Giovanni Vidale), chi il cambusiere (Franca e Nilo), chi l'ufficiale pagatore (Antonio), chi è l'esperto nel salare l'acqua della pasta (Giovanni), chi si occupa di telecomunicazioni (Alberto La Greca).

A questo proposito dobbiamo delle spiegazioni ai nostri affezioni lettori che attendono con ansia la pubblicazione del diario di giornata. Sappiamo di averli delusi un paio di volte sui tempi, ma vi garantiamo che - qui in Serbia - abbiamo avuto dei grossissimi problemi di connessione. Noi personalmente cerchiamo di fare di tutto per inserire la pagina prima delle 21/21.30 ma spesso non dipende da noi e quindi... portate pazienza e continuate a seguirci.

La stradina ci ha portato da Velika Plana passano per paesini e un paio di grossi centri animati dal mercato settimanale: oggi è sabato e si vede. I villaggi sono di campagna, dove non regna di certo la ricchezza, le automobili sono spesso antiquate e estremamente puzzolenti: del resto questo è un paese che, già partendo da una situazione socio-economica non particolarmente felice, ha subito per lunghi anni l'embargo dei paesi occidentali e questo non può non aver lasciato un segno marcato nella economia nazionale. La nostra modesta impressione però è che il paese si stia riprendendo, si vedono segnali positivi.

I sobbalzi, le buche e le ondulazioni del terreno ci fanno compagnia per chilometri e chilometri lungo i paesi di Cuprija, Paracin, Pojate. Proprio in questo ultimo tratto ci troviamo ad affrontare una lunga salita in progressione, a fianco dell'autostrada, la cui unica nota positiva è la presenza di numerosissimi alberi da frutto. Ogni tanto si è visto qualche ciclista gettare la bici a terra e raccogliere manate di prugne e susini con cui riempire i capienti tasconi delle maglie da corsa: scene di ciclismo d'altri tempi. Il particolare più bello è che si sono fermati i più forti per poi distribuire a tutti, risalendo la fila indiana impegnata nella faticosa salita, i frutti magici e ristoratori.

Sosta dopo Razanj con la classica pastasciutta, straordinario momento di recupero delle forze: Giovanni Rebellato, che minacciava l'ammutinamento, è stato accontentato ed ha avuto i suoi amati spaghetti. C'è restato anche il tempo per una breve pennichella e alle 14.00 di nuovo tutti in sella per coprire i restanti 50 chilometri che ci separano da Nis.

Ovviamente subito dopo la partenza la strada ci ha regalato un’altra perla, una salita ripida, immediatamente dopo aver effettuato una "allungatoia" dato che ci eravamo trovati per sbaglio al casello dell'autostrada.

Ampia planata verso Nis, sempre caratterizzata dal molte buche e sobbalzi: un cicloturista italiano stenterebbe a credere di poter correre tranquillamente per tanti chilometri su fondi come questi, ma dobbiamo fare di necessità virtù.

Del resto stiamo meglio di quel signore seduto in cima ad un carro di letame trainato da un cavallo, che abbiamo superato all'ingresso di Nis.

Del matrimonio balcanico sapete già, che il nostro albergo sia situato in cima ad una collina con salità al 15 % farà sorridere più di qualcuno: gli esami - e le fatiche - non finiscono mai. Pivo, doccia, creme rinfrescanti e siamo a posto, pronti ad affrontare la serata.

Punto tecnico

Tappa vallonata, con strappi e fondo stradale molto sconnesso, che ha messo a dura prova la nostra resistenza. Le biciclette hanno bisogno di una piccola registrata, ma complessivamente va tutto bene. Anche oggi nessuna foratura: l'unica resta quella di Romeo nel tratti in "maccadam" in Slovenia, per colpa di un sasso che lo ha costretto anche a sostituire un copertone.

Partenza ore 7.45, arrivo ore 17.20, media oraria 24,1, tempo effettivo h. 6,28, chilometri 156.   


8^ tappa : 8 agosto 2004

Nis - Sofia km. 164 (1304)


Anche oggi la nostra partenza è stata allietata dalla presenza di ciclisti locali che ci hanno accompagnato per una ventina di chilometri in direzione Sofia. Si chiamano Violeta e Slobodan e fanno parte della società ciclistica di Nis. Mai incontro fu più casuale: ieri pomeriggio, all'ingresso nella grande città avevamo chiesto a lei informazioni sull'ubicazione del nostro albergo e lei si era offerta di accompagnarci, affrontando anche due dure salite (una per colpa sua, che ha sbagliato strada, mannaggia, tra qualche protesta e mugolio di alcuni di noi.

Comunque alla mattina alle 8.00 si sono presentati puntuali in albergo, vestiti di tutto punto e ci hanno scortato in direzione Sofia, facendoci anche passare per il monumento più noto - e macabro - della loro città, la torre Cele Kula, la torre dei teschi, che cela una storia crudele ed esemplare. Infatti nel maggio 1809 i Turchi sconfissero i serbi e il comandante vincitore, Hurksid  pascià, ordinò di mozzare la testa a cinquecento dei tremila morti serbi.

Come imperituro monito venne edificata questa torre, effettivamente poco edificante, e le teste vennero esposte per ricordare a tutti che fine fanno i ribelli.

Terre difficili queste, la storia passata e anche quella più recente ce l'hanno insegnato.

Lasciati i teschi alle nostre spalle, cominciamo una lenta risalita della verde valle verso la Bulgaria. La strada è ampia anche se mano a mano che si sale si restringe fino a diventare uno stretto e suggestivo budello, con un cristallino fiume -  la Nisava - che scorre a valle e una linea ferroviaria al nostro fianco. Il panorama è suggestivo, montano, e più di qualcuno si lancia in arditi paragoni con le nostre montagne. La strada si restringe sempre di più fino a infilarsi dentro le montagne: una serie di 13 gallerie non illuminate mette a repentaglio la nostra incolumità, soprattutto le 2 lunghe oltre 400 metri l'una. Massimo si colloca ultimo della file, essendo dotato di luce di posizione, pur con qualche tensione ed apprensione, riusciamo a superare anche queste difficoltà. Superiamo alla nostra sinistra un monastero affollato: qualcuno al nostro passaggio si mette alla piccola torre campanaria e ci saluta suonando le campane a distesa. Oggi è domenica e i ciclisti la santificano con una dose quotidiana di chilometri: ma qualcuno ci fa un piccolo regalo e la temuta salita che ci aspettavamo dopo le gallerie scompare improvvisamente, cancellata da una nuova strada che aggira l'asperità. Un boato di gioia da parte degli scalatori meno preparati! A proposito di regali, questo è un giorno particolare perché è il compleanno di Antonio, genetliaco festeggiato da cori in corsa (e due bottiglie di prosecco messe in frigorifero per la sosta pastasciutta).

La strada quindi si srotola in lunghissimi rettilinei su un altopiano verde, con poco traffico e le montagne bulgare che si avvicinano sempre di più. Sosta pastasciutta proprio al confine e quindi, oltrepassata la nostra quarta frontiera, perdiamo in un sol colpo un'ora, per colpa del fuso orario, che non concede sconti a nessuno. Nella zona tra le due frontiere, quella serba e quella bulgara, notiamo molte donne vestite in maniera molto modesta che rivolgono uno sguardo assai disinteressato e spento a noi "biziklisti". Avranno sicuramente altro di più importante a cui pensare piuttosto che a un gruppo di matti su due ruote.

Tutti noi aspettiamo impazientemente la planata su Sofia, tanto attesa e desiderata ma, al contrario, si continua a salire, anche se in maniera abbastanza costante. Ma poi, finalmente, eccoli i lunghi rettilinei pendenti, che scatenano la voglia di velocità dei più preparati. Tra campi di girasoli, inquadrati in uno scenario di verdi colline, qualche mucca minacciosi nuvoloni neri che si addensano nel cielo, tocchiamo velocità vertiginose. E così la capitale bulgara si avvicina sempre più, ma con essa anche il temporale che già lascia tracce luminose nel cielo. Il panorama è effettivamente molto intenso.

Al 163 chilometro, sotto uno scroscio di quel temporale preannunciato che assesta un colpo definitivo al lindore delle nostre divise, arriviamo a Sofia.

E il nostro arrivo, oltre al festeggiatissimo Antonio, lo dedichiamo a Sofia, la figlioletta di Franca che ci segue quotidianamente nel sito e tempesta di simpatici messaggini la mamma distante.

Tanti saluti e un grazie di cuore a le oltre 2500 persone che in questi giorni sono entrate nel nostro sito: la vostra discreta presenza ci aiuta molto di più di quanto non crediate: la lettura della posta serale è uno dei momenti più intensi e divertenti della giornata.

E un grazie di cuore anche ad Aldo, la quinta colonna della spedizione, che pur a casa è in costante contatto diretto e lavora moltissimo per aiutarci a superare la difficoltà di connessione: è lui che fisicamente tiene aggiornato il sito.

Punto tecnico

Tappa meno difficile del previsto: evitata la salita tutto è stato più semplice. Di veramente pericoloso c'è stato comunque il passaggio nelle gallerie prima di arrivare al confine bulgaro. Adrenalina a mille pedalando tra le buche nella più completa oscurità. Dopo la frontiera e ancora una decina di chilometri di leggera ascesa, ecco la bella planata su Sofia, che raggiungiamo alle 18.20 locali sotto scrosci di pioggia.

Partenza ore 8.00, arrivo ore 18.20 (1 ora avanti), media oraria 26,1, tempo effettivo h. 6,18, chilometri 164.


9 agosto 2004

Sosta a Sofia e visita monastero di Rhila


Oggi giornata di riposo! Dopo aver percorso circa 1300 chilometri in 8 tappe, quest'oggi le nostre biciclette restano chiuse nell'angusto sgabuzzino dell'Hotel Lulin - a due passi dal Parlamento - dove sono state stivate una sull'altra con precisione millimetrica.

Per noi invece è prevista la visita del centro di Sofia, che ci sorprende per la sua bellezza e grandiosità. Sinceramente ci aspettavamo qualcosa di diverso, invece gli ampi vialoni, la spaziosa piazza del Parlamento con le aiuole fiorite e ben curate, le magiche cupole della cattedrale Alexander Nijevski ci hanno fatto particolarmente apprezzare la scelta di effettuare la sosta nella capitale bulgara. E la chicca della giornata sarà nel pomeriggio, con la visita al più famoso ed importante monastero bulgaro, a Rhila, circondato dalle alte cime delle montagne a sud di Sofia.

Alle ore 9.00 è venuto in albergo l'amico Dimitar Sotirov (Mitko), giornalista della Bulgarian Media Coalition, che ha passato la serata di ieri in nostra compagnia, assieme alla dolce moglie Silvia e al figlioletto Mitko jr., il quale si è trovato subito in perfetta sintonia con noi Ponti di Pace, a dispetto della lingua reciprocamente incomprensibile.

Oggi Mitko ci ha organizzato alle 9.30 un incontro con il sindaco di Sofia e ci rechiamo a piedi di buona lena presso il municipio; purtroppo al sindaco nel frattempo è sopraggiunto un impegno improvviso e quindi ci ha ricevuto in sua vece l'assessore allo Sport, alla Culture e alla sanità Bogdan Stefanov.

Dopo i discorsi di rito e i suoi sinceri auguri per la riuscita della nostra avventura, gli abbiamo consegnato alcuni doni e messaggi ufficiali della Regione del Veneto, del Comune di Venezia, del Comune di Fontaniva, il gagliardetto dell'AIL.

Quindi ci scateniamo nella visita dell'antica chiesa di S. Sofia e dell'imponente cattedrale Alexander Nijevski. Assistiamo anche alla celebrazione di una messa all'aperto nello spiazzo antistante a S. Sofia e di conseguenza veniamo a conoscenza della profonda spaccatura in seno alla chiesa bulgara che ha provocato una specie di piccolo scisma in quanto i padri ortodossi pare abbiano rinnegato il loro patriarca e quindi si rifiutino di celebrare le funzioni religiose all'interno delle chiese, che sono state sgombrate a viva forza dalla polizia, per ordine del patriarca stesso. In effetti il patriarca è in carica dal 1971, quindi in pieno periodo comunista, e non ha certo seguito il cambiamento della società in questi ultimi anni: la conseguenza di questa rivolta è che tutte le funzioni, matrimoni compresi, si svolgono all'aperto, in un'atmosfera un po' paradossale.

Il nostro tour prosegue e dopo la visita alle due chiese ed quella veloce ma proficua ad un piccolo mercato (dove qualcuno si è sbizzarrito nei primi acquisti), ci siamo recati al palazzo della stampa bulgara dove abbiamo effettuato una conferenza stampa ufficiale di presentazione del nostro viaggio.

In uno scenario molto professionale abbiamo avuto la possibilità di dialogare con i giornalisti della carta stampata e della televisione bulgara spiegando le motivazioni che ci hanno spinto ad organizzare questo viaggio: abbiamo avuto insomma la possibilità di esporre la nostra spedizione ai principali media bulgari, che questa sera e domani riprenderanno e diffonderanno la notizia. Ad introdurci alla stampa bulgara è stato il prof. Umberto Rinaldi, Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura a Sofia, che ci ha presentato durante la conferenza stampa e poi ci ha offerto un pranzo informale ma molto piacevole in una pizzeria del centro. Dopo il pranzo e l'interessante chiacchierata siamo finalmente partiti in un pulmino in direzione Rhila. Per giungere al monastero abbiamo attraversato una campagna bulgara caratterizzata da molti campi di girasole, alberi da frutta, campi coltivati e una cornice di colline verso cui abbiano puntato decisamente e che si sono poi trasformate in vere e proprie montagne.

Il monastero di Rhila è il più famoso della Bulgaria ed è a quota 1170 metri di altitudine, un vero gioiello dell'arte cristiana bulgara, incastonato tra le alte vette, che ricorda vagamente qualche monastero nepalese o tibetano, certamente per la struttura architettonica ma soprattutto per la spiritualità che emana. Siamo stati ricevuti dall'Igumeno del monastero, il Vescovo di Dragovizi Joan, un vecchietto con la voce calda e  profonda ed un'ampia epa che gli conferisce un carisma notevolissimo.

Quindi abbiamo dedicato il pomeriggio alla visita della chiesa, che custodisce importanti reliquie, e del monastero. C'è anche un museo veramente importante, purtroppo al momento chiuso. Ma la cosa più notevole è il clima particolare che si respira, un'atmosfera di tensione mistica, il senso di isolamento e di spiritualità conferiti probabilmente dalle alte vette tutte attorno. Ci sono anche alcuni turisti, alcuni probabilmente si fermeranno a dormire all'interno del monastero. Siamo distanti oltre 130 chilometri da Sofia, ma questa lunga deviazione è valsa veramente la pena: siamo restati tutti impressionati. E al ritorno più di qualcuno ha approfittato del lungo viaggio in automezzo per schiacciare un sonnellino ristoratore. Anzi, per un lungo tratto, sembra sia restato sveglio solo l'autista.

Cena in un ristorante caratteristico, con canti e balli locali, e poi tutti a letto: domani si riprende a pedalare!


9^ tappa : 10 agosto 2004

Sofia - Plovdiv km. 146 (1450)

10 agosto, tappa mia non ti conosco

Oggi partenza alle 8.15 dopo aver atteso circa 15 minuti per il passaggio del primo ministro bulgaro, Simeone di Bulgaria, dato che alloggiamo proprio alle spalle del parlamento.

Eravamo pronti tutti alle 7.00 nella sala colazioni ma mancava solo una cosa, anche se la più importante: la colazione. Il personale d'altronde è svogliato, al limite del sopportabile e all'alba i due Alberti hanno provato il brivido di non avere gli indumenti per pedalare. Il giorno precedente infatti avevano consegnato le loro divise inzaccherate alla reception per farle lavare ma al mattino nessuno sapeva nulla. Dopo mezz'oretta le divise saltano fuori - lavate e profumate - e l'incidente è superato.

Oggi l'infaticabile Mitko ci ha organizzato una scorta della polizia per attraversare la città senza problemi e alle 8.15, quando ci mettiamo in marcia, seguiamo la macchina con i lampeggianti accesi che ci guida attraverso i vialoni cittadini. Ci sentiamo quasi imbarazzati da tanto trattamento, quasi fossimo dei professionisti o comunque delle persone importanti e guardiamo con un pelo di malcelato orgoglio le file di macchine costrette ad aspettare il nostro passaggio, bloccate dai molti poliziotti che facevano ala al nostro corteo. Per una volta la rivincita delle due ruote sulle macchine. E così lasciamo Sofia che ci ha regalato dei flash indelebilmente impressi nelle nostre retine. L'uscita, come quella da qualsiasi capitale, avviene su un'ampia arteria ma la scorta della polizia rende tutto più semplice e nello stesso tempo ufficiale. Ogni tanto un colpetto di sirena blocca qualche macchina che sta per immettersi nel nostro corteo e toglie ogni velleità all'automobilista malintenzionato.

Una gigantesca insegna di Mc Donald ci saluta e noi la lasciamo sfilare senza degnarla di troppi sguardi.

Oggi la tappa è prevista di 152 chilometri, senza troppe difficoltà altimetriche e l'unico problema previsto è l'attraversamento di una galleria, principale motivo per cui viaggiamo scortati dalle forze dell'ordine. E' bastata una telefonata di Mitko al Ministro dello Sport e tutto si è risolto. La polizia ci guida all'interno dell'autostrada senza alcuna difficoltà (qui non sembra interdetta alle biciclette) e ci ritroviamo nella paradossale situazione di pedalare nella corsia di emergenza con le macchine che ci superano di gran carriera. La strada è ottima, scorrevole, vellutata rispetto la scabrosità delle tappe precedenti e, soprattutto, si sta verificando un fenomeno naturale che condizionerà incredibilmente l'intera tappa. Udite, udite: vento a favore, e che vento. Normalmente noi ciclisti ci lamentiamo perché sentiamo quasi sempre il vento in faccia che fa aumentare le difficoltà e la fatica (invece qualche volta è solo la stanchezza che fa sentire questo effetto) ma oggi invece non ci sono scuse: bello, teso, dritto alle spalle, gonfia la nostra vela e noi, da esperti marinai, ne approfittiamo e... voliamo.

30, 35 chilometri all'ora in salita ma quando scolliniamo a quota 855 metri, e dopo aver superato la galleria, che effettivamente era sufficientemente illuminata e non necessitava assolutamente della presenza della polizia, ci scateniamo letteralmente: nei lunghissimi rettilinei in leggera discesa tocchiamo punte di 70 km all'ora, senza pedalare e qualche volta la stessa polizia ci richiama all'ordine. Speriamo che non ci voglia dare una multa per eccesso di velocità in autostrada! O forse, per qualcuno di noi, sarebbe un documento da mostrare con orgoglio agli amici!

Il momento topico della giornata è sicuramente il sorpasso di tutto il gruppo ad un camion che procede solo a 60 km orari, troppo poco per noi ciclisti! Peccato che il furgone fosse un po' distante e Orlando non abbia potuto cogliere l'attimo: in quell'attimo i nostri petti si sono gonfiati. E dove sono andate a finire tutte le precauzioni, i ritmi blandi, il voler arrivare senza strafare? Oggi tutto saltato, la strada chiama e noi rispondiamo. Ci guardiamo negli occhi stupiti e continuiamo a procedere senza fatica a 50 chilometri all'ora e la nostra media sta assumendo delle proporzioni veramente fuori dalla norma. Qualcuno si chiede: "Chissà cosa dirà Aldo!?" Ma oggi va bene così, le macchine della polizia, che si danno la staffetta ogni 30 o 40 chilometri, ci garantiscono la sicurezza ma ci impediscono di fermarci quando vogliamo. Comunque l'asfalto è vellutato, il morale è buono e decidiamo di planare direttamente su Plovdid. Guardiamo i nostri computerini sul manubrio che ci lanciano dei messaggi fuori dalla norma: 130 chilometri percorsi alla media di 35.5 all'ora. Mancano solo 14 chilometri all'arrivo ed è appena mezzogiorno. Non ci sono più dubbi: si va in albergo direttamente.

Nel frattempo, tra una planata e una tirata, osserviamo come il panorama sia del tutto cambiato e le colline verdi e mosse della primn a aprte della giornata hanno lasciato spazio ad una pianura piatta, poco coltivata, apparentemente povera. La periferia di Plovdid ci accoglie sempre sotto la scorta della polizia ma il bello deve ancora arrivare: sirene spiegate, tutti gli incroci bloccati, si passa a semaforo rosso, scene di un telefilm stile Miami-Vice in salsa bulgara.

Alle 12.40 siamo in albergo, avendo percorso 146 chilometri in poco più di 4 ore. Cosa da non credere, ma oggi è andata bene così, bisogna saper cogliere l'attimo e la strada e il vento hanno parlato per noi. Domani si vedrà.

Così abbiamo più tempo da dedicare alla scoperta della bellissima città di Plovdiv, la seconda città della Bulgaria, ricca di storia e di cultura.

Punto tecnico

Tappa che all'inizio ha presentato una leggera salita sulle colline bulgare,  poi una rapidissima volata verso Plovdiv, agevolati dal forte vento alle spalle.

Partenza ore 8.15, arrivo ore 12.45, tempo effettivo h. 4,09, media oraria 35,1 (!), kilometri 146.


10^ tappa : 11 agosto 2004

Plovdiv - Edirne km. 178 (1628)

Ieri pomeriggio è stata una giornata intensissima: della planata su Plovdiv sapete tutti e alle 14.00, dopo aver mangiato un panino al volo, abbiamo preso possesso delle stanze del bell'albergo che l'ineffabile Mitko ci ha prenotato da Sofia. L'entusiasmo e la passione con cui quest'uomo ci ha sostenuti ed aiutati in questi giorni hanno dell'incredibile e certamente la sua figura resterà centrale nei ricordi del nostro viaggio.

Alle 16.00, tanto per cambiare, toc-toc, bussano alla porta e chi entra in stanza? Mitko ovviamente, giunto da Sofia con un pacco di giornali che parlano di noi e con nostre foto pubblicate sulla stampa locale. Ci dà 10 minuti di tempo e noi Alberti, che stavamo finendo di aggiornare il sito e scaricare le foto, molliamo tutto e ci rechiamo nella hall: a molti altri nostri compagni è andata peggio perché stavano godendosi un'imprevista ma desiderata pennichella pomeridiana. Pronti... via, tutti ad una conferenza stampa con giornalisti e televisioni di Plovdiv a parlare del nostro viaggio, ospiti nella sede dell'importante Fondazione di volontariato "Help the Needy", legata alle Nazioni Unite e specificatamente all'UNOCHR. Interviste di rito (ovviamente in inglese) in un giardino sotto un fresco gazebo, foto, filmati, insomma trattati con i guanti, con tanto di rinfresco. Successivamente, andati via i giornalisti, il Presidente Georgi Vassilev Naidenov ci ha illustrato le moltissime attività della loro Fondazione, ci ha accolto con parole commoventi e quindi ci ha consegnato una prestigiosa onorificenza, con la quale sono stati insigniti alcuni ministri bulgari e personalità straniere: una grande medaglia consegnata alle persone di buon cuore. Commovente: un pomeriggio come questo sarebbe sufficiente a giustificare gli sforzi e l'organizzazione del nostro viaggio. Quindi, passato un'acquazzone pomeridiano, il presidente ci invita a cena nel nostro albergo e ci dà appuntamento tra due ore. Nel frattempo Mitko ci porta a conoscere le bellezze di Plovdiv, che io conoscevo per essere la città natale di Moni Ovadia, cittadina ricca di storia e di cultura. E anche di nomi, visto che nelle varie epoche e dominazioni, dai greci ai romani ai turchi, ha cambiato un numero incredibile di nomi, Eumolpiade, Philippopolis, Pulpudeva, Trimontium, Puldin, Felibe e infine Plovdiv. Costruita su tre colline, è tutta da scoprire nelle diverse stratificazioni e periodi storici, quello romano, quello medievale, quello della dominazione turca e infine la città moderna. Perché Plovdiv ha mezzo milione di abitanti, è la seconda città per dimensione della Bulgaria e considerata la città più antica (fondata nel 12 secolo a.C.).

Certamente il monumento più straordinario è l'antico teatro romano, che domina la città e offre un panorama mozzafiato di questo anfiteatro costruito sotto l'imperatore Traiano. Restiamo affascinati camminando tra gli antichi gradoni e restiamo ancor più stupiti quando Mitko ci rivela che questo gioiello è stato portato alla luce solo vent'anni fa.

Ma la serata è ancora lunga e ci offrirà ancora tante sorprese, come la cena in compagnia degli ospitali amici della Fondazione “Help the Needy”

Dopo le emozioni del pomeriggio e della serata giunge finalmente il momento della partenza, alle 8.45.

La polizia ci scorterà anche oggi e nuovamente, come ieri pomeriggio, la città di Plovdiv resta paralizzata e gli automobilisti bloccati in attesa del nostro passaggio. Per un momento ci sentiamo Critical Mass, il movimento ciclistico  internazionale che ha invaso tutte le città del mondo per riappropriarsene: NOI SIAMO IL TRAFFICO. E oggi se ne accorgono anche a Plovdiv!

Si punta decisamente in direzione Sud-Est verso il confine con la Turchia e la città di Edirne, l'antica Adrianopoli. Anche oggi il vento ci sostiene e superiamo gli interminabili rettilinei, che presentano spesso salite e discese, a buona andatura, non come ieri ma sempre ben sostenuta. Lungo il ciglio della strada corriamo tra una selva di fiori fuxia che nallietano la nostra vista. La campagna bulgara si sta mostrando a noi per l'ultima volta con i campi di angurie, estese coltivazioni di tabacco e anche molta campagna incolta. Superiamo una macchina ricolma fino all'incredibile di ortaggi, sia nel bagagliaio che nel tettuccio, scene dell'altro mondo.

Lungo la strada ci colpiscono alcuni mercatini, sia di frutta e verdura, che di ceramiche, evidentemente specialità artigianali locali. Ogni tanto lungo la strada viene esposta qualche interessante forma di kasar (ovviamente il formaggio) che ci fa  venire l'acquolina in bocca.

Dopo la sosta pastasciutta con la scorta della polizia a pochi metri di distanza che si rifiuta di cedere alle tentazioni della cucina italiana, attraversiamo la frontiera con la Turchia. Lunghissima trafila, ben cinque posti di controllo diversi, non si capisce bene il perché. Entriamo quindi nella nazione della mezzaluna e subito respiriamo un clima diverso: più mediterraneo, sembra quasi subito più caldo, la campagna è più ricca e meglio coltivata, le abitazioni decisamente più accoglienti. Percepiamo di essere entrati in una grande terra, che ci ospiterà per ben 13 giorni.

Concludo le ultime note di questi appunti accompagnato dal canto di un muezzin. Ci dovremo abituare, ma la suggestione della prima volta è unica.

Punto tecnico

Tappa lunga ma con ottime condizioni metereologiche (grazie Eolo), scortati dalla polizia fino al confine turco. Leggere ondulazioni con strappi che sarebbero stati più impegnativi senza vento a favore.

Partenza ore 8.45, arrivo ore 17.49, tempo effettivo h. 5,54, media oraria 30,1, chilometri 178.


11^ tappa: 12 agosto 2004

Edirne - Silivri km. 168 (1796)

Siamo tutti un po' eccitati per il contatto diretto e tangibile con l'oriente: minareti, muezzin, moschee, donne velate, tanta confusione, banchettti di dolci e di kebab, la strada che pulsa e che diventa centro della vita per molte persone, dai venditori ambulanti a chi ci dorme la notte, ai curiosi che vi sostano di giorno. Gli splendidi minareti di Edirne paiono inchinarsi al nostro passaggio, soprattutto quelli della principale moschea, la Selimiye Camii, capolavoro dell'architetto ottomano Mimar Sinan, artefice della Moschea Blu di Istanbul. Non possiamo esimerci dal farci ritrarre dal nostro Rolando la mattina prima della partenza tutti schierati sotto i suoi minareti: del resto le moschee, assieme alle chiese cattoliche ed ortodosse che siano e le sinagoghe costituiscono i fari del nostro lungo viaggio.

Lungo viaggio che riprende con una tappa lunga ed insidiosa, che ci fa attraversare la Tracia, l'antica regione romana ora divisa tra Grecia, Bulgaria e Turchia. Apparentemente siamo in pianura, ma una pianura insidiosissima con delle rugosità che dolcemente si stendono verso il mar di Marmara. E noi le becchiano tutte: rettilinei infiniti con continui saliscendi, anche con pendenze notevoli. I primi 100 chilometri sono veramente duri: neanche un metro di pianura, il sole che oggi comincia veramente per la prima volta a farsi sentire. Questa è la Turchia bellezza! E in agosto! Hai voluto la bicicletta? Pedala. C'è chi, in un momento di scoramento, arriva al punto di rimpiangere il lavoro, evidentemente momento di relax rispetto alla giornata odierna.

Si passa tra campi coltivati, ancora i soliti girasoli, particolarmente appassiti e bruciati dal sole, lo stesso che ci sta cucinando lentamente. Poche tracce di vita lungo la strada che collega ad Istanbul, solo pompe di benzina con prezzi milionari al litro. Del resto qui in Turchia ci si sente tutti ricchi: basti pensare che un euro vale 1.800.000 lire turche!

Alla sosta pastasciutta, immancabile appuntamento quotidiano e oggi particolarmente desiderata, abbiamo fatto conoscenza con una famiglia di Adana, città nel Sud della Turchia, scappata in Tracia per cercare un po' di caldo: noi passeremo di là tra una decina di giorni e tremiamo al sol pensiero. Chissà che la fortuna ci aiuti, e il tempo pure.

Approfittando della sosta papà Gianmaria rivolge i suoi auguri alla figlia Novella e noi tutti in coro.

Lungo la strada, molto trafficata, qualche volta al limite del sopportabile, soprattutto da vecchi e puzzolenti camion, molte persone ci salutano, sia dalla strada che dagli automezzi. Sono tutti molto espansivi, calorosi, simpatici, quasi invadenti.

Ma il problema dello smog e del traffico pericolosissimo, con le macchine che ci sfiorano di continuo, rendono la nostra pedalata un po' rischiosa. Non è particolarmente bello trovarsi in situazioni come queste, eppure, in circa 1700 chilometri di asfalto, non abbiamo trovato ancora un metro di pista ciclabile.

Qui evidentemente i problemi sono altri, ma se non si risolvono anche questi, la qualità della vita stenterà a crescere. Questa sera mi riprometto di parlarne con Massimo, una delle anime degli Amici della bicicletta di Brescia.

In cima ad una salita, a Corlu, fermi ad un semaforo, siamo stati raggiunti da un gruppo di ragazzini festanti e curiosi che ci ha letteralmente assaltato. Noi abbiamo distribuito i nostri volantini (nel frattempo a Sofia siamo riusciti a farci mandare la ristampa con la versione giusta) e abbiamo spiegato loro il perché del nostro viaggio. I loro grandi occhi neri erano quasi tutti concentrati su Bepi, ovviamente sul suo braccio mancante e sul suo "uncino" di alluminio attaccato al manubrio. Lui paciosamente - come sempre - sorrideva tranquillo e hanno stabilito un contatto intenso e silenzioso. Se potessero vederlo quando scatta in salita e nessuno di noi riesce a stargli dietro, perderebbero del tutto quel velato senso di commiserazione che si legge nei loro occhi: per quanto ci riguarda, in queste occasioni, noi gli rivolgiamo le peggiori contumelie.

Ed eccoci a Silivri, località sul Mar di Marmara, dopo 168 chilometri. Istanbul è a due passi, la porta dell'Oriente domani si schiuderà e noi vi penetreremo con gioia e curiosità.

Punto tecnico

Tappa lunga ma con continui saliscendi che la rendono estremamente nervosa e difficile. Vallonata si direbbe. Alla fine i metri di dislivello sono oltre 1200. E siamo sempre restati in pianura, partendo da 40 metri e arrivando al livello del mare! Per fortuna.

Partenza ore 8.25, arrivo ore 17.40, tempo effettivo h. 6,41, media oraria 25,1, chilometri 169.


12^ tappa: 13 agosto 2004

Silivri - Istanbul km. 71 (1867)

Eccitazione palpabile questa mattina nella sala colazioni: abbiamo la coscienza di raggiungere uno dei punti-chiave del nostro viaggio, Istanbul. Parola che da sola racchiude il concetto di Oriente, mistero, fascino, distanza, diversità. E noi ci siamo giunti, o meglio tra poco ci giungeremo, partendo da casa nostra in bicicletta. E' proprio questa una delle molle che mi spinge a viaggiare: prendere la bici, uscire da casa, pedalare lungo strade conosciute per poi imboccare un bivio e spingersi chissà dove, verso Oriente o verso Nord, dove mi porta la curiosità e la voglia, il piacere di conoscere e di conoscersi. Perché anche nel viaggio che stiamo facendo stiamo imparando a conoscerci, soprattutto i lati più nascosti del carattere, magari viene fuori l'aspetto più competitivo oppure quello più riflessivo, forse emergono anche gli aspetti meno positivi, ma comunque è sempre un insegnamento e una grandissima esperienza formativa.

Oggi entreremo nell'Oriente magico, ci gusteremo quella città che per secoli è stata la culla delle civiltà, Bisanzio o Costantinopoli che fosse. Potrebbe costituire già di per se stesso un punto di arrivo, la degna meta di un dignitosissimo viaggio, ma noi la consideriamo invece solo come un momento di passaggio, una casella del nostro cammino, un ulteriore arricchimento al percorso che vedrà come meta finale Gerusalemme e Betlemme. E soprattutto per noi veneziani è un esperienza particolare immergersi in questa città ricca di storia e di fasti, la cui simbiosi con Venezia è continuamente ribadita dietro un angolo, un palazzo, un mercato, uno scorcio, un aroma. Non è solo una questione morfologica, si tratta di cromosomi, dato che anche i luoghi hanno caratteristiche umane assunte da chi ci vive, da chi vi ha costruito, da chi ha pensato urbanisticamente la città.

Tappa breve ma pericolosa perché l'attraversamento di Istanbul è un vero inferno, il traffico della tangenziale è una macchina tritatutto che travolge qualsiasi cosa non viaggi su quattro ruote: la fragilità della bicicletta in casi come questi è veramente tangibile e commovente, sicuramente per noi. L'esperienza di tre anni prima ce l'ha insegnato e allora, grazie ai contatti col consolato italiano a Istanbul e alla premura della dott.ssa Oddi, ci è stata organizzata una scorta della polizia in modo tale da superare indenni l'infernale traffico cittadino. Intanto cominciamo e incontreremo la scorta per strada... ma dopo 30 chilometri la scorta non si vede ancora e ci troviamo già all'interno della metropoli turca. Macchine ci superano a destra e a sinistra, taxi collettivi e pulmini sfrecciano strombazzando all'impazzata, le macchine si immettono senza guardare nè rispettare il benché minimo codice di comportamento stradale. Da brividi. Decidiamo di fermarci ad aspettare la polizia perché la situazione si fa troppo pericolosa. E ben ce ne incoglie, perchè nell'attesa troviamo un ragazzo siciliano, di Erice, Alessandro Riolo che ci fa compagnia e ci offre indicazioni e consigli preziosi: ha la fidanzata di Istanbul e quindi conosce bene questa enorme città, in cui lui afferma di trovarsi benissimo. Gli crediamo. Grazie Alessandro del tuo aiuto: il bello è che lui era a conoscenza del nostro viaggio, ci aveva seguito via internet e quindi i contatti virtuali si sono trasformati in reali, che poi sono quelli  certamente più belli e sentiti.

Ma l'incontro con Alessandro è il preludio ad un altro incontro, sempre con dei nostri connazionali, incontro bello e commovente. Vediamo passare infatti cinque ciclisti carichi con bagagli e mountain bike, li salutiamo e si fermano volentieri: sono cinque ragazzi lombardi Chiara, Andrea, Costanza (veronese), Beppe e Mauro. Sono partiti da Durazzo il 29 luglio ed hanno avuto la voglia, la forza, la curiosità di viaggiare attraverso i Balcani in bicicletta con i bagagli. dall'Albania alla Macedonia, alla Bulgaria, alla Grecia, fino ad Istanbul, fine del loro viaggio. Le loro bici sono estremamente pesanti rispetto alle nostre ma il loro entusiasmo li ha portati a compiere, per la prima volta, un lungo viaggio in bicicletta. Ci sembra molto bello condividere con loro la gioia dell'ingresso ad Istanbul e li invitiamo ad aspettare la polizia con noi per non correre rischi. Il viso fresco e tutto sommato riposato delle due ragazze è la dimostrazione che un viaggio del genere è fattibile per tutti, basta essere motivati e preparati psicologicamente. io personalmente provo un po' d'invidia del loro assetto, mi piace molto viaggiare in bicicletta con la famiglia percorrendo lunghi itinerari anche 700-800 chilometri in autonomia, ma ogni viaggio ha un suo stile e delle sue esigenze e quello che stiamo intraprendendo non si potrebbe realizzare in altro modo, quantomeno con questa tempistica. Evidentemente la mia invidia è forse solo la nostalgia di casa, di Tiziana e Fausto, non solo dei viaggi fatti con loro.

Dopo oltre due ore di attesa snervante arriva finalmente la polizia e possiamo partire, tutti assieme compresi i cinque amici lombardi. E quell'attesa di due ore tutto sommato non l'abbiamo rimpianta perché almeno, con la scorta di un poliziotto motociclista, l'incolumità è salva.

L’ingresso in bicicletta in una simile metropoli trasmette delle sensazioni diversissime rispetto all’arrivo in aeroporto. E’ un processo di lento avvicinamento: l’avvistamento da lontano della prima periferia, il progressivo incedere sempre più all’interno di questo enorme formicaio, la sensazione quasi di essere ingoiati e digeriti dalla gigantesca città, fintantoché non si arriva al centro con i suoi monumenti e con le sue vedute note e riconoscibili e allora ci si accorge che questo percorso di conoscenza è avvenuto attraverso l’assimilazione e la conquista personale.

Siamo giunti in albergo alle 13,15 dove abbiamo consumato all'aperto il rito della birra ghiacciata accompagnata da un ricco spuntino con pane ed ottimi affettati (della ditta Brunello che ci ha garantito un cospicuo carico proteinico);  questa sera ci aspetta una riunione conviviale organizzata dal Consolato Italiano ad Istanbul in nostro onore.

Di pomeriggio andremo alla scoperta delle bellezze di Istanbul e noi personalmente, i due Alberti, ringraziamo perché per una volta tanto non siamo costretti a fare le ore piccole (o piccolissime) per l'aggiornamento del sito. Evviva, anche questa è vita.

Punto tecnico

Tappa molto breve, solo 70 chilometri, ma con qualche saliscendi e il terribile attraversamento della capitale turca, da cui usciamo vivi solo grazie all'aiuto della polizia stradale che ci ha scortati.

Questa mattina è stata sostituita una camera d'aria ad Antonio Toniolo, evidentemente pizzicata in una delle tante buche del finale di ieri. Seconda foratura in assoluto.

che la rendono estremamente nervosa e difficile. Vallonata si direbbe. Alla fine i metri di dislivello sono oltre 1200. E siamo sempre restati in pianura, partendo da 40 metri e arrivando al livello del mare! Per fortuna.

Partenza ore 7.43, arrivo ore 13.10, tempo effettivo h. 2,49, media oraria 24,9, chilometri 71.


14 agosto 2004

Sosta a Istanbul

Giornata di riposo ad Istanbul. Ieri pomeriggio a piccoli gruppi siamo andati a passeggio per il centro a visitare le principali attrattive della città, chi al Gran Bazar, chi a Sultanhamet, chi a S. Sofia, chi alla Moschea Blu o a quella gigantesca di Solimano il magnifico.

Ieri sera siamo stati ospitati generosamente dal Consolato Italiano, presso l'Istituto Italiano di Cultura dove, in un'atmosfera distesa e rilassata il prof. Marchetti, direttore dell'Istituto, la dott.ssa Ferrara, la dott.ssa Oddi, addetto agli Affari Consolari, la dott.ssa Favero, ci hanno accolto con calore e simpatia.

Noi ciclisti abbiamo fatto vedere ai nostri rappresentanti all'estero come si aggredisce un piatto di pastasciutta (Nilo ha rifiutato il suo quinto piatto solo per una questione di stile) e la serata è stata veramente simpatica.

Abbiamo un po' la sensazione (e la presunzione) di aver portato, in quest'ambiente perfetto ed asettico, una ventata di caciarosa italianità, che crediamo li abbia divertiti. E un ricevimento con 13 persone in pantaloncini corti non deve essere per loro la norma.

Porteremo con noi anche il ricordo di questa accoglienza calorosa e l'aiuto e l'attenzione che la dott.ssa Oddi ci ha dedicato sono stati decisivi. Ci hanno fatto sentire seguiti e coccolati dalla nostra nazione.

La mattina è dedicata ad interviste e riprese televisive (CNN turca), scotto da pagare quando si ha una visibilità ed una ufficialità - per quanto relativa - di questo tipo.

E nel pomeriggio... altra immersione ad Istanbul.


13^ tappa: 15 agosto 2004

Istanbul - Adapazari km. 152 (2019)

E' una Istanbul assonnata quella che accoglie la partenza di noi bianchi ciclisti che spicchiamo il volo verso l'Oriente: è domenica mattina di un ferragosto che qui non è festa ed è un vero piacere muoversi per le strade solitamente trafficatissime ed ora semi-deserte. Non è certo una città dove si accolgono bene i ciclisti, anche se l'amico Murat, presidente della sezione cicloturismo della Federazione Ciclistica Turca - che ci ha aiutato moltissimo in questi giorni - ci ha spiegato che sta lavorando alacremente con l'attuale sindaco di Istanbul per allestire alcune piste ciclabili nelle principali direttrici della città. Auguri Murat, e grazie ancora per tutto l'aiuto che ci hai generosamente fornito, primo tra tuttil'intervista con la CNN. Ieri sera siamo restati tutti incollati davanti al tubo catodico, direttore dell'albergo e addetti compresi, e quando è andata in onda la nostra lunga intervista è esploso un vero boato nella hall. C'è stato spazio adeguato anche per Bepi, che suscita sempre grande curiosità con il suo "uncino".

Come descrivere l'emozione del passaggio in Asia, dell'attraversamento del Bosforo? Poche parole, tanti brividi, l'impressione di spiccare il volo: restare sospeso a metà ponte in uno spazio infinito e dilatato. Siamo alti, altissimi e passiamo in silenzio su questo braccio di mare che separa i due continenti.

A noi si sono aggregati anche i ciclisti lombardi conosciuti l'altro ieri che hanno approfittato dell'occasione unica ed irripetibile di attraversare il Bosforo sull'immenso ponte autostradale a dieci corsie e ad unica campata, possibilità garantitataci esclusivamente dalla solita scorta della polizia, che anche quest'oggi ci segue pedissequamente. Anzi addirittura esageratamente, con due macchine che in qualche occasione sono aumentata fino a 3 con altre tre moto: in poche parole, c'erano più poliziotti che ciclisti! La polizia ci apre le porte dell'autostrada e ci vorrebbe far proseguire fino ad Adapazari ma invece, dopo 70 chilometri, insistiamo per immetterci sulla statale D-100. E nell'uscita avviene il fattaccio: il poliziotto, con i modi burberi e decisi tipici delle forze dell'ordine, solleva di forza la sbarra del casello dell'iscita che l'addetto era lento a sollevare, noi passiamo uno alla volta ma la stessa sbarra si abbatte pesantemente sul povero Antonio che stava sfilando. Colpo sul viso e caduta per terra, colpo da KO, per fortuna senza alcuna conseguenza. Una risata e si rimonta in sella. La strada, trafficata ma non troppo solo perché oggi è domenica, si snoda lungo il Mar di Marmara, nello specifico il Golfo di Izmir, e ci fa vedere un mare col broncio. Sì perché oggi, incredibilmente, non c'è il sole, non fa caldo e anzi il tempo minaccia pioggia, che ogni tanto si abbatte su di noi in brevi rovesci. Dopo qualche chilometro però aumenta d'intensità e ci ridice a dei pulcini bagnati. Ma quanto piacere sentire questa pioggia lavare il nostro corpo, piuttosto che percepire sulla nostra pelle i temutissimi raggi di sole. Più che pioggia ovviamente è fango e l'unico nostro problema è che questa sera saremo costretti a trasformarci in tante lavanderine nel disperato tentativo di far tornare pulite le nostre divise. Auguri!

Lungo il percorso superiamo un gruppo di zingari che viaggia su tre carretti trainati da cavalli: ci scambiamo un saluto al volo, una merendina ai più piccoli, qualche fotografia e via. Noi nomadi per gioco - e per passione - superiamo chi del nomadismo ha fatto una ragione di vita; e una vita per niente facile, a prima vista.

La polizia non ci perde di vista e, staffetta dopo staffetta, arriviamo ben bagnati alle porte di Adapazari. Mancano solo 3 chilometri al centro ma proprio in quel momento si scatena un nubifragio. Eccitati dall'arrivi ci tuffiamo cantando in questa pioggia che adesso addirittura è un po' fredda, incredibile. Arriviamo in albergo che più bagnati non si può, le strade sono allagate e si sprofonda nell'acqua fino alla caviglia. Scontato il riferimento all'acqua alta veneziana.

Nel complesso la nostra giornata è stata fortunata: il temuto caldo non si è ancora fatto sentire e questo ci rende euforici. Chissà fino a quando durerà la fortuna?

Punto tecnico

L'attraversamento del Bosforo sul ponte autostradale è una chicca dell'intero viaggio, consentitoci solo dfalla scorta della polizia, che ci costringe a imboccare l'autostrada. Buono l'asfalto, pochissimi dislivelli, quindi si pedala in scioltezza, anche se il panorama dei grandi complessi abitativi vicino alla capitale non è dei più esaltanti. Ma pedalando sulla corsia d'emergenza troviamo residui e cocci di vetro che fanno forare i due veneziani, prima Alberto F. poi Alberto L.G. Nel primo caso addirittura è stat necessaria la sostituzione del copertone.

Calcolando anche la foratura di Antonio ieri durante la passeggiata ciclistica per il centro con la CNN, siamo a quota 5 forature.

Partenza ore 7.41, arrivo ore 15.16, tempo effettivo h. 5,23, media oraria 28,2, chilometri 152.


14^ tappa: 16 agosto 2004

Adapazari - Gerede km. 175 (2194)

Se la Turchia è il paese del sole, non ce ne stiamo proprio accorgendo ma continuiamo a ringraziare gli dei propizi al ciclista che ci stanno risparmiando il temutissimo caldo. Anche oggi ci svegliamo con un cielo livido e, dopo colazione, e anche dopo una concitata discussione col personale dell'albergo che ieri sera non ci ha servito la cena che pure era già pagata,  partiamo alla volta di Gerede. Oggi è una tappa difficile, abbandoniamo definitivamente la pianura turca per cominciare ad inoltrarci negli altopiani della Anatolia: cambierà definitivamente il paesaggio e ci troveremo in montagna. Il passaggio avviene effettivamente lentamente ma inesorabilmente: dopo i primi 70 chilometri pianeggianti cominciano a vedersi i netti profili dei Monti del Ponto, che risaltano sotto un cielo nerissimo ogni tanto attraversato da qualche luminosa saetta. L'atmosfera è carica di elettricità, in tutti i sensi, anche perché stiamo attendendo la temuta salita di 750 metri di dislivello che ci porta a Bolu. La salita è effettivamente lunga ma pedalabile, su larga carreggiata a due corsie, con parecchi grandi camion che ci superano sbuffando un fumo nero e puzzolente. Salendo molto lentamente, quanto può permetterlo l'attuale forma fisica, mi ha colpito la presenza di molte bancarelle di artigianato locale specializzate nella realizzazione di culle ed amache. Per qualche istante la tentazione di distendersi sopra una di quelle comode amache stava per prendere il sopravvento, ma poi l'istinto del ciclista ha prevalso e l'adrenalina ha continuato a pompare nel vecchio cuore e nelle gambe indurite. Alè, la vetta è vicina.

Lo scollinamento è avvenuto a quota 940 metri e all'inizio della discesa ci siamo concessi il rito della pasta, che il maltempo di ieri ci ha impedito di celebrare. Ora invece il tempo sembra riprendersi e i pochi scrosci di pioggia ci hanno consentito di rinfrescarci. Perfetto.

Si passa per Bolu, città colpita pochissimi anni fa da un terribile terremoto ma i segni non sono visibili, almeno ai nostri occhi di viaggiatori di passaggio.

Il paesaggio è decisamente cambiato, i campi coltivati hanno lasciato il passo a pascoli, a boschi, a verdi distese. I nostri occhi si riempiono di questi nuovi stimoli visivi e quasi ci dimentichiamo che dobbiamo affrontare altre 2 dure salite, una subito fuori Bolu, che risulta abbastanza pedalabile e tranquilla, anche perché affrontata ad un passo blando per tutti, e un'altra per arrivare a Gerede, sede di tappa, a quota 1450 metri. Che fatica ragazzi!

E se non bastassero 173 chilometri con tre importanti salite, l'albergo - molto confortevole - è situato in cima ad una salita durissima (con punte del 17%) che fa uscire delle imprecazioni dalla bocca anche dei ciclisti più timorati. Ma almeno godiamo di una vista mozzafiato sulla città.

Resta la soddisfazione di essere saliti su questo altopiano che percorreremo fino ad Ankara ed oltre, Cappadocia compresa, e quindi nei prossimi giorni resteremo tendenzialmente in quota. Almeno così si spera.

Questa sera circola tra noi la consapevolezza di aver affrontato e superato con sicurezza - per noi tutti - la tappa più dura tra quelle finora svolte e una delle più impervie in assoluto.

Anche oggi la polizia ci ha preso in consegna alla partenza e portato fino alla sede di tappa. La presenza delle forze dell'ordine è utile ma assolutamente non indispensabile, qualche volta in effetti ci sentiamo obbligati e non possiamo fare ciò che vogliamo. Comunque forse è meglio così e ci fa piacere l'interesse delle autorità turche.

Il morale è alto, continuiamo ad essere accolti con interesse ed entusiasmo ovunque. Abbiamo la percezione che il nostro modesto messaggio venga recepito perfettamente sia nei molti incontri ufficiali che in quelli casuali con la gente comune, locali o turisti che siano. Tanto per rendere l'idea, abbiamo già ricevuto "brevi manu" alcune donazioni per l'AIL. Evidentemente ispiriamo fiducia e il sudore delle nostre fronti è certamente il miglior indice di trasparenza ed entusiasmo.

Punto tecnico

Abbandoniamo la pianura e ci dirigiamo verso la Karadeniz, la regione a nord di Ankara, puntando decisamente verso i monti del Ponto. Di conseguenza, dopo 70 chilometri, la strada diventa decisamente alpina e ci riserva ben tre salite importanti. Tappa dura, lunga ed impegnativa, con oltre 2000 metri di dislivello.

Oggi altra foratura di Antonio (a quota tre personali) e altra sostituzione del copertone. E' il terzo ed essendo giallo, io Antonio e Romeo siamo degli arlecchini in bicicletta con un copertone giallo ed un rosso.

Partenza ore 8.03, arrivo ore 18.02, tempo effettivo h. 6.48 , media oraria 25,6, chilometri 175.


15^ tappa: 17 agosto 2004

Gerede - Ankara km. 145 (2349)

La mattina presto ci godiamo una spettacolare vista dall'albergo sulla piana di Gerede e sui monti tutt'intorno: il cielo è terso, l'aria frizzante, da montagna, di notte un temporale ha pulito l'atmosfera e ora il clima è veramente ideale, nonostante le previsioni della Tv turca fossero drammatiche con nuvolette e pioggia su tutta l'Anatolia, Ankara compresa. E questo ieri sera aveva messo in grave agitazione Romeo, che assieme a Bepi e con l'ausilio di Francesco e Massimo si è preso l'onere di pulire accuratamente tutte le biciclette, imbrattate dal fango di due giorni di pioggia. E' stato un lavoro importante ma duro, pulizia della catena, detersivo sul telaio e ruote, olio sugli ingranaggi: insomma una faticata di due ore subito dopo una tappa tanto dura. Grazie ragazzi, spirito di gruppo.

Del resto per qualcuno di noi la bicicletta è un oggetto da custodire con attenzione e precisione, da coccolare, curare e... soprattutto, non abbandonare mai. Tanto che spesso, in mancanza di garage custoditi, ce la portiamo in camera da letto. E davanti agli occhi allibiti del personale dell'albergo ci giustifichiamo affermando che, almeno in questi giorni, è la nostra moglie. E in un certo senso è proprio vero, senza alcuna offesa per le nostre signore che comunque ci conoscono bene.

Alle 7.50 riusciamo a partire, con la consueta scorta della polizia, ed affrontiamo un bel falsopiano in discesa di una decina di chilometri. L'atmosfera è tipica della montagna, dai prati si alzano nuvole di vapore che sembrano riprodurre degli effetti speciali e molto suggestivi. Si pedala di buona lena e qualcuno anche con la k-way, anche se ci attendono, lungo la strada verso Ankara, due salite. Ma l'importanza di essere saliti sull'altopiano sta tutta nel fatto che restiamo sempre in quota e quindi i dislivelli non sono mai drammatici. Dopo una quindicina di chilometri cominciamo ad affrontare la prima salita, un passo di montagna al culmine di una bella e stretta valle verde. Restiamo incantati ad ammirare questi paesaggi selvaggi, i fitti boschi, la strada ampia che sale dolcemente sempre a quattro corsie, con doppia carreggiata separata. Ecco, le strade qui in Turchia ci sembrano nel complesso belle, ampie, con asfalto dignitoso: una strada di montagna così larga in Italia ce la scordiamo di certo. In effetti ci hanno rivelato che è in atto un piano di ampiamento e di raddoppio di tutte le strade nazionali dell'Anatolia che renderà il traffico più fluido e scorrevole. Il problema è che questo programma è in corso di attuazione e quindi corriamo il serio rischio di trovarci nel bel mezzo dei lavori in corso. E così avviene anche oggi, anche se per soli 500 metri di sterrato proprio durante la prima salita. Man mano che si sale verso i 1580 metri della vetta il paesaggio si fa sempre più montano, si sente il fischio caratteristico di numerose marmotte, si vede qualche uccello tracciare nel cielo ampi cerchi concentrici, insomma potremmo anche trovarci nelle nostre montagne se non fosse per la presenza, nei due ordinati villaggi posti nei pressi della sommità, dei caratteristici minareti che conferiscono all'ambiente un impronta indelebilmente orientale.

Le montagne sembrano ricche d'acqua e spesso infatti vediamo fontane, spesso indicate anche da segnali stradali con un pittogramma che rappresenta un rubinetto. Una novità per noi, ma ne approfittiamo per sane bevute di acqua fresca e zampillante.

Scolliniamo e ci godiamo l'ampissima discesa, sempre a due corsie e assolutamente poco trafficata, dove la polizia che ci segue dovrebbe multarci per eccesso di velocità dato che siamo costantemente oltre il limite massimo di velocità, 50 km all'ora. Del resto approfittiamo delle condizioni stradali, che assomigliano più a quelle del giro d'Italia, data la mancanza di traffico che coi permette di tagliare e pennellare le curve scegliendo la traiettoria migliore. Lungo la strada incontriamo rare persone, contadini, pastori, una incredibile vecchietta che trasporta una montagna di legna alta il doppio del suo fragile corpo. Adesso l'ambiente è nuovamente cambiato, il verde delle montagne ha lasciato il passo ad una terra rossa, aspra, anche se ricca e forte. Si ha quasi l'impressione di trovarsi in Sardegna, e questa terra sembra altrettanto dura e generosa della nostra isola mediterranea; a una veloce impressione anche i pochi abitanti avvistati, col cappello calato sugli occhi, potrebbero essere altrettanto riservati. La strada ci regala dei continui saliscendi, strappi che costringono le nostre gambe a sforzi imprevisti.

Passiamo indolori anche il secondo valico, anche se Nilo fatica sempre più per colpa dei problemi intestinali che da due giorni lo stanno perseguitando: purtroppo per lui quella di ieri e quella di oggi non erano certo le tappe migliori per accusare qualche problema fisico. Ma Nilo è un tipo tosto, stringe i denti, sale col suo passo e scollina come tutti gli altri.

Sosta pastasciutta nei pressi di Kazan, dove ci colpisce  il brillare del sole sulle argentee cupole della locale moschea: siamo proprio nel ventre dell'islamismo. Ed esserci giunti in bicicletta è una soddisfazione che ci carica di giorno in giorno.

Pedaliamo tra colline gialle di grano mietuto, che assomigliano a morbide increspature di una coperta raggrinzita, la campagna risulta fertile e ben coltivata con alberi da frutto.

La periferia di Ankara ci viene incontro improvvisamente in questa ampissimo altopiano e ci arriviamo dall'alto, la conquistiamo con una volata in discesa che ci regala qualche carica di adrenalina. Subito il traffico diventa intenso, pericoloso e questa volta guardiamo con riconoscenza al nostro angelo custode in divisa e motocicletta che ci permette di uscire indenni da un groviglio di lamiere di un precedente incidente sulla tangenziale.

Giungiamo all'Hotel Turist, accogliente come non mai, alle 15.15; dopo un  quarto d'ora giunge anche il meccanico che la Federazione ciclistica Turca, dietro nostra richiesta, ha mandato per registrare le biciclette provate dopo oltre 2300 chilometri di strada. Niente di grave, ma c'è soprattutto da registrare i raggi messi a dura prova dal percorso, come del resto i nostri muscoli.

Alle 18.30 siamo attesi in Ambasciata d'Italia per un breve incontro ufficiale.

Punto tecnico

Strada caratterizzata da continui saliscendi, anche se più scendi che sali, dato che siamo partiti da quota 1450 per arrivare agli 850 metri di Ankara, passando per due valichi di 1580 e 1240 metri di altitudine. Salite nel complesso abbordabili, in un bel panorama montano e in ottime condizioni atmosferiche, sole e fresco. Tutto bene.

Partenza ore 7.50, arrivo ore 15.10, tempo effettivo h. 5.33 , media oraria 26,1, chilometri 145.


16^ tappa: 18 agosto 2004

Ankara - Kirsehir km. 199 (2548)

Oggi è stata la classica giornata in cui si percepisce, con orgoglio, che chi ha scelto la bicicletta come mezzo di viaggio ha capito tutto della vita. Veramente è stata una tappa straordinaria, con intensissme e continue emozioni, sicuramente la più bella dal punto di vista paesaggistico, quasi certamente una delle più dure e difficili. E coniugare bellezza e fatica, anzi conquistarsi con il sudore scorci spettacolari e panorami indimenticabili, è il massimo per il ciclista. Ma procediamo con ordine perchè anche la serata di ieri è stata intensa e ricca di incontri e di scambi.

Alle 18.30, presso l'Ambasciata d'Italia ad Ankara, siamo stati gentilmente al centro di un ricevimento dato in nostro onore nella dimora del Consigliere Luca Sabatucci e signora, alla presenza di alcuni funzionari tra cui il ministro consigliere Gianni Piccato e il capo della cancelleria consolare Enrico Mora, con cui avevamo intrattenuto rapporti telefonici nei giorni scorsi. L'accoglienza riservataci è stata calorosa e simpaticissima, tutti i presenti si sono dimostrati interessati e incuriositi da questo strano gruppo di ciclisti "non regolari", con pancia e capelli bianchi ma molto convinti dei propri mezzi e delle loro idealità. In più di qualcuno abbiamo letto un lampo di sincera e genuina invidia, forse il desiderio di aprire una parentesi nella propria vita - intensa, piena di soddisfazioni, ma certamente faticosa e scandita dall'ufficialità - per vivere un'esperienza "on the road", un'immersione totale in una realtà totalmente diversa e altrettanto viva e interessante.

Piacevole la compagnia, ottimo e ricco il buffet all'insegna dell'italianità, insomma un'altra serata piacevole dove ci siamo sentiti amati e coccolati dai nostri rappresentanti all'estero. E' una piacevole sensazione, quella di essere sulla strada giusta e di riuscire a coinvolgere più persone attorno ai nostri ideali.

Alle 21.00 circa torniamo in albergo in taxi scorazzando per la caotica capitale turca, creata a tavolino negli anni '30 da Ataturk, il padre della Turchia moderna, che ne ha individuato il centro geografico e di conseguenza costruito più o meno ex-novo l'attuale capitale della repubblica, alla faccia di città ricche di storia e di cultura millenarie come Costantinopoli, Troia, Efeso, Trebisonda, Konya.

E tornati in albergo, ben satolli e anche piacevolmente storditi dall'ottimo vino italiano che ci è stato offerto, stiamo per salire nelle camere quando il personale ci insegue e ci conduce di forza nel ristorante - dato che la nostra cena era già compresa nella prenotazione. Ci guardiamo negli occhi: abbiamo mangiato bene ed altrettanto ben bevuto in Ambasciata ma, colpo si scena, cediamo alle lusinghe del personale e abbiamo la faccia tosta di mangiare nuovamente! Non si sa mai, facciamo come i cammelli, immagazziniamo riserve energetiche per i momenti più duri del viaggio. ma la bilancia l'altro ieri aveva già emesso le sue sentenze: più di qualcuno è aumentato di 2 o 3 chili!

E dopo cena, alle 23.00, è tornato in albergo il meccanico della Federazione turca che già al pomeriggio ci aveva centrato le ruote di 6 biciclette; poi ha dovuto andar via e di sera ha finto il lavoro.

E' un personaggio unico, Ahmed, ci ha offerto la sua amicizia, la sua simpatia, la sua competenza il suo lavoro solo per il piacere di essere utile a dei suoi simili, a delle persone che vivono la vita come lui. Siamo restati incantati a vederlo muoversi con destrezza, accarezzare i raggi, sfiorarli con amore quasi fossero corde di un'arpa, saggiarne la tensione e poi registrarli leggermente, uno alla volta, tenendo sempre presente l'equilibrio di tutto il cerchione, avendo sempre davanti agli occhi l'obiettivo finale, cioè la magia del cerchio, figura geometrica perfetta per eccellenza. Vederlo lavorare con questa passione e competenza è stata per noi una vera lezione di vita, terminata comunque ad ore antelucane, all'1.30 di notte. Grazie ancora, ci ricorderemo a lungo della tua disinteressata amicizia.

E dopo 5 ore suona la sveglia, si parte per una tappa lunga e dura che ci deve introdurre alla Cappadocia, che raggiungeremo definitivamente domani.

Abbiamo optato, dopo vari consulti, per una variante sul percorso predeterminato e cioè una strada molto meno trafficata e panoramica con un unico inconveniente, i continui saliscendi.

E mai scelta fu più azzeccata: ci sono bastati i primi 30 chilometri di tangenziale per uscire da Ankara per capire cosa ci sarebbe stato servito come piatto del giorno: un mix di gas di scarico con contorno di frenate e sorpassi al cardiopalma. Invece, al 36 ° chilometro, giriamo improvvisamente a destra (è inutile ripetere che anche oggi siamo scortati da una vettura della polizia) in direzione Bala e Kirsehir, nostra sede di tappa. Ed entriamo in paradiso, una stradina secondaria senza traffico che si inerpica tra colline completamente gialle, una distesa di campi di grano mietuti. E' un paesaggio che ci accompagna per chilometri e chilometri, queste colline morbide che si perdono a vista d'occhio, campi coltivati e le rare persone tutte impegnate nei lavori agricoli. Per la prima volta ci incuneiamo nell'altopiano anatolico in una strada non trafficata e questo ci consente di attraversare piccole città e villaggi lungo la strada dove possiamo goderci la vita di provincia nella Turchia, dopo aver notato il caos delle metropoli come Istanbul ed Ankara. Anziani seduti lungo la strada ci guardano incuriositi, spesso però immobili come sfingi, mentre i bambini dimostrano tutto il loro entusiasmo incoraggiandoci e gridando. Non devono vedere tanto spesso un trenino di ciclisti come il nostro! Anche perché noi non abbiamo visto alcun ciclista in questi giorni, esclusi dei bambini nelle città; intendiamo nessuna persona che utilizza la bici per recarsi al lavoro.

Spesso restiamo accecati, nei pressi dei rari paesini, dai raggi di sole che riflettono sulla cupola dell'immancabile moschea, i minareti aguzzi ed esili si stagliano sul giallo delle colline. E con il trascorrere dei chilometri, (accipicchia se è vero che questa strada panoramica è caratterizzata da tanti saliscendi!) passano sotto i nostri occhi tutte le sfumature del giallo e del marrone, con qualche tocco di verde. Ogni tanto, nelle troppo brevi discese, restiamo rapiti dai profumi che emergono dalla terra, probabilmente dei fiori bianchi che punteggiano i pascoli. Mucche e pecore, pastori e agricoltori, tende e yurte di fortuna sono stati i nostri compagni di viaggio in questo itinerario furoi dal traffico e dalla consueta confusione turca.

Una giornata così resterà certamente scolpita nella nostra memoria, anche per la fatica, sopportata con encomiabile stoicismo (ma ormai siamo in perfetta forma fisica) e certamente per i panorami goduti. Il dato di 2156 metri di dislivello superati è sufficiente per far capire l'impegno fisico; e se non è ancora sufficiente, aggiungiamo il dato della lunghezza, 199 chilometri. Che ne dite? Ce la meritiamo o no una birra ghiacciata?

Punto tecnico

Strada splendida, almeno dopo i primi 38 chilometri di drammatica tangenziale di Ankara. Continui saliscendi, spesso molto impegnativi, che spezzano continuamente il ritmo della pedalata.  Due vere salite di 250 metri di dislivello e infiniti strappi. Ce la ricorderemo a lungo. Continuano per fortuna le condizioni atmosferiche ottimali, sole e fresco, anche se negli ultimi 40 chilometri si è alzato un forte vento contrario che ha reso ancor più epica la tappa.

Partenza ore 7.35, arrivo ore 18,24, tempo effettivo h. 8,12 , media oraria 24,2, chilometri 199.


17^ tappa: 19 agosto 2004

Kirsehir - Urgup km. 115 (2663)

Oggi si può dire che siamo entrati nel vivo del viaggio, nel senso che tutto è nuovo e interessante quando ci si sposta in bicicletta, ma il cuore pulsante del nostro percorso, soprattutto dal punto di vista culturale ed archeologico, comincia a battere all'impazzata proprio nella Cappadocia, per poi continuare in Siria e Giordania, per finire in bellezza con la magica Gerusalemme. E quindi cappadocciamo volentieri.

La sera di ieri ci ha visto protagonisti in un caratteristica saletta stile fumeria, con tappeti e bassi sgabelli, dove ci siamo goduti, dopo cena, la classica lettura delle e-mail e dei messaggi del forum del nostro sito. E' veramente uno dei momenti più divertenti e significativi: ormai anche gli amici dei nostri amici sono diventati intimi per tutti. Nella hit-parade della simpatia spiccano i messaggi sempre profondi ed incisivi di Ugo e quelli delle figlie di Bepi, che l'altro ieri hanno inviato al loro padre ciclista una foto delle amate cagnoline, messaggio subliminare per indicare i veri rapporti di forza in casa Pavan. Particolarmente apprezzato da tutti noi, e dai bassanesi in particolare, il sincero messaggio di incoraggiamento e di apprezzamento dell'Assessore allo Sport Menegon.

Oggi partenza alle 7.55 con la consueta scorta della polizia alle calcagna: bisogna dire che nell'attraversamento dei centri abitati è veramente utile, bloccano i semafori, fermano le macchine, ci danno insomma una garanzia di incolumità, anche se c'è da dire che nel complesso i turchi non sembrano dei pessimi guidatori.

Lasciato l'Hotel Terme di Kirsehir, imbocchiamo una statale a quattro corsie che ripropone comunque sempre le stesse antipatiche caratteristiche: un continuo su e giù, da montagne russe più che turche. Al 28 chilometro si abbandona la statale e finalmente si entra in Cappadocia. Dopo pochi chilometri cambia il paesaggio e gli ampi pascoli e i campi di grano lasciano spazio a campi coltivati a vite, una vite bassa che sembra dare ottimi frutti. Rispetto a ieri e alle distese di giallo e di rosso, oggi si notano pennellate di un  verde intenso, ricco, profumato. La strada continua a salire e scendere ma la nostra attenzione si concentra sui notevoli panorami che offrono dei validi spunti al nostro indomito fotografo Orlando, che sicuramente sta soffrendo più di noi rinchiuso tante ore al giorno nella cabina del nostro mezzo d'appoggio, e per di più senza aria condizionata. Ma gli scatti che ci sta regalando sono la sua e la nostra più grande soddisfazione.

Ed ecco che, improvvisamente, a Nevesehir, appaiono le incredibili case per cui la Cappadocia è famosa in tutto il mondo, abitazioni rupestri inserite in conformazioni morfologiche incredibili, modellate dal vento e dalla pioggia, dal tempo e dagli agenti atmosferici. E noi le guardiamo dal sellino della nostra bici! Emozionante.

Dopo la sosta pastasciutta la nostra tappa, molto breve rispetto alla media, si trasforma in una visita su due ruote al territorio circostante, con un'emozionante sosta ai Camini di Fata a Ucisar e l'immersione nel museo all'aperto di Goreme, con l'interessantissima visita alle basiliche paleocristiane scavate anch'esse nel tufo. Abbiamo trascorso un'ora in compagnia di una guida che ci ha illustrato con passione queste costruzioni e ci ha fatto entrare nel clima della Cappadocia. Alla partenza da Goreme verso la nostra sede di tappa, Urgup, siamo costretti ad affrontare uno strappo pazzesco su un acciottolato spezza gambe (e insidiosissimo per la nostra bicicletta) e infine arriviamo al nostro albergo alla fine di una tappa molto breve ma assolutamente straordinaria. I brividi che abbiamo provato visitando queste antiche abitazioni ittite ed osservando questi improponibili grinze della crosta terrestre - con una curiosa forma fallica - sono stati veramente unici.

Punto tecnico

Tappa breve, solo 115 chilometri, che abbiamo voluto trasformare - nell'ultima parte - in una visita in bicicletta ai principali siti della Cappadocia. Improvvisamente sono spuntati come funghi turisti italiani. Alla mattina, al momento di montare in sella, una sorpresa: ruota posteriore di Alberto L.G. afflosciata, foratura. Immediata sostituzione, con tempi e ritmi da meccanici della Ferrari. Orami abbiamo preso confidenza.

Anche oggi, pur con tappa così breve, le nostre gambe hanno dovuto spingerci a coprire un dislivello di 1360 metri!

Partenza ore 7.55, arrivo ore 18,10, tempo effettivo h. 5,05, media oraria 22,5, chilometri 115.


20 agosto 2004

Sosta in Cappadocia

Oggi giornata di riposo interamente dedicata alla scoperta della Cappadocia. Alle 9.00 troviamo all'hotel Merit Inn un pulmino a 12 posti con autista e una guida che parla italiano. Abbiamo a visitare due famosissimi siti, la valle di Ihlara, un canyon incredibile scavato da un torrente, una valle remota che è stato un centro di monaci bizantini, che hanno scavato nella roccia decine di chiese riccamente affrescate. Facciamo una lunga camminata di un paio di ore e ci godiamo la pace e l'isolamento di questa valle magica. Bellissima escursione, culminata con una scorpacciata di trote in un ristorantino lungo il torrente che aveva anche qualche tavolo posizionato in mezzo all'acqua, con i clienti a rinfrescarsi i piedi. Scena alla Ernesto Calindri in un famoso Carosello.

Nel pomeriggio invece ci trasferiamo nella città sotterranea di Derinkuyu, otto piani scavati nel tufo, complessa ed articolata.

Alla fine della giornata ci rechiamo presso una cooperativa statale per il commercio del tappeto, dove ammiriamo le varie fasi di produzione del tappeto, dal bozzolo alla tintura, alla tessitura. Veramente interessante, ma usciamo a mani vuote. Alle 20.00 torniamo in albergo: una giornata di riposo cominciata alle 9.00 e finita 11 ore dopo. Ma siamo veramente soddisfatti.  



18^ tappa: 21 agosto 2004

Urgup - Nidge 122 km (2785)

La visita della Cappadocia di ieri è stata un'immersione in culture antichissime e spettacolari, in una natura plasmata dagli agenti atmosferici, tra pinnacoli aerei, rocce antropomorfe, cappelli di sasso adagiati su colli strettissimi, città sotterranee simili a formicai, cappelle scavate nelle rocce e riccamente affrescate. Siamo restati senza parole di fronte a queste spettacolari immagini, confidiamo nelle immagini di Orlando e nelle riprese di Giovanni per poter - una volta tornati a casa - rielaborare le visite e trovare finalmente i termini adatti per descrivere ciò che abbiamo visto. Ci scusiamo con i nostri affezionati lettori che stanno viaggiando con noi in questi lunghi giorni.

E oggi si torna in sella, questi uomini che nei giorni di visita ritornano normali, quasi goffi ed impacciati come gli albatros quando camminano a terra, ma slanciati ed eleganti quando tornano sul loro cavallo d'acciaio, quando si librano in discesa e pennellano le curve, quando si inarcano sul manubrio nel momento in cui la strada si impenna (mio Dio, troppo spesso!). E la strada è stato il giudice imparziale in questi giorni, un giudice severo perché si è mostrato totalmente privo del concetto di pianura: negli ultimi 300 chilometri non siamo riusciti a trovarne un solo metro, unicamente ed esclusivamente salita o discesa. E' proprio in queste situazioni che viene fuori la grinta e la generosità del ciclista, che in un gruppo numeroso come il nostro deve trovare un giusto equilibrio e una corretta compensazione. E noi li abbiamo trovati.

Anche ieri abbiamo avuto un notevole riscontro della nostra spedizione, con la gente che ci ha fermato per strada, ci ha chiesto informazioni, ci ha dato delle libere offerte per l'AIL. Allora è proprio vero che la fatica e la nostra semplicità ispirano fiducia, anche agli stranieri.

Oggi per l'appunto usciamo dalla Cappadocia ma decisamente dalla porta principale: una stradina stretta che ci ha accompagnato per 45 chilometri da favola. E abbiamo avuto un saluto particolare: camini di fata, bianche increspature di caolino, verdissime vallate riccamente coltivate. Tutto questo in un nastro di asfalto stretto e senza assolutamente traccia alcuna di traffico: nel giro di un paio di ore avremmo incontrato sì e no una decina di trattori, che stanno a dimostrare l'importanza dei lavori dei campi. Incontriamo campi di patate, di zucche e campi di girasoli incappucciati, probabilmente per evitare la caduta dei semi quando la corolla china la testa. Certo che questi sacchetti di plastica colorata stonano alquanto in questi campi morbidamente verdi. Passiamo per paesini sperduti impreziositi dagli immancabili minareti e da qualche caravanserraglio, paesini che nella toponomastica riportano curiosamente i nomi delle cariche di funzionari dell'impero ottomano come Mustafapascia, Taskinpascia e Sahinefendi. Il secondo villaggio ce lo ricorderemo sicuramente a lungo grazie allo strappo oltre al 15% di pendenza che ha attirato i curiosi abitanti a soffermarsi lungo il ciglio della strada per vedere questo bianco rosario sgranato ed allungato inerpicarsi fino a quota 1565 metri. Giunti a questa altitudine, per una decina di chilometri ci godiamo una pedalata a filo di altopiano: attorno a noi niente di più alto, siamo soli nel cielo e circondati da una natura aspra e selvaggia, con campi graffiati di giallo e di marrone, qualche muretto di sassi che ancora mi ricorda in un certo senso la parte interna della Sardegna, quella punteggiata dai nuraghi.

Al termine di una discesa spettacolare e finalmente con qualche curva da disegnare, giungiamo a Guzeloz e si conclude il lato spettacolare della tappa. Ora, per giungere a Nigde, nostra meta per la sera, c'è un interminabile rettilineo su strada statale a quattro corsie, abbastanza monotono, che il bianco trenino affronta con compostezza ed ordine, in lunga fila indiana oppure, anche, disposti su due file. Attorno a noi il paesaggio è cambiato in maniera sostanziale: paesaggio stepposo, quasi desertico, con la presenza di strani roditori, a metà tra topi e marmotte, che osservano curiosi il nostro passaggio.

Dopo la sosta pastasciutta, che deve aver colpito la fantasia dei nostri attenti lettori dato che qualcuno ci ha battezzato "Ciclo-pasta", la strada non cambia connotati, sempre abbastanza monotono, ma purtroppo ha cambiato fondo, con un asfalto a grana molto grossa e con molte buche che ci costringono ad un surplus di attenzione: sarebbe veramente drammatico cadere e farsi male proprio adesso che sentiamo l'odore del Medio Oriente, per noi pellegrini sulla strada di Damasco (che si trova a soli 800 chilometri da qui).

Ed alle 15.10 arriviamo in albergo a Nigde, l'hotel Evim. Ci godiamo un meritato riposo, soprattutto in vista della temutissima tappa di domani: 200 chilometri esatti e cinque passi da scalare. In effetti spesso ci ripetiamo che il domani la tappa sarà dura e quasi sempre la sera ci troviamo a fare un bilancio positivo della giornata. Se succederà così anche domani sera, allora sarà quasi fatta: l'unica insidia restante (superate tutte le montagna) sarà il caldo.

Vedremo.

Punto tecnico

Tappa breve, solo 121 chilometri. I primi 45 sono indimenticabili, senza traffico e in un panorama straordinario, poi ci si immette in una statale molto larga (ma non molto trafficata) che ci conduce fino a Nigde. Inutile dirlo, anche quest'oggi la polizia non ci ha lasciato un attimo.

Foratura di Bepi.

Partenza ore 7.37, arrivo ore 15,10, tempo effettivo h. 5,01, media oraria 24,1, chilometri 122.


19^ tappa: 22 agosto 2004

Nigde - Adana km. 211 (2996)

Come volevasi dimostrare. La temutissima tappa "dolomitica" dei cinque passi e degli oltre 200 chilometri è stata domata alla grande da tutti e gli undici ciclisti biancovestiti. Anche questa sera ci troviamo nella hall dell'albergo di Adana, davanti alla rituale birra ghiacciata la cui schiuma bianca ci accarezza le labbra con un tocco vellutato, a commentare positivamente la giornata, in cui tutti hanno dato il meglio di sè superando senza alcuna difficoltà i passi disseminati lungo il percorso. C'è da dire che l'altimetria complessiva si è dimostrata molto meno impegnativa rispetto a tappe precedenti più sottovalutate all'inizio, i cui ripetuti dossi facevano superare abbondantemente i 2000 metri di dislivello. Oggi siamo stati invece sotto ai 1500 e tutti i valichi si sono dimostrati pedalabili.

Partiamo la mattina presto - alle 7.25 - dall'albergo di Nigde, cittadina che la sera si è rivelata ai nostri occhi particolarmente vivace e ricca: molta animazione, negozi aperti fino a tardi, parecchie banche e una sostanziale pulizia nelle ampie strade.

La Turchia, che la maggior parte di noi non conosceva, è stata una piacevole scoperta, molto positiva: nel complesso, da quello che abbiamo visto, ci siamo fatti l'idea di un paese in piena espansione economica, molto più avanzato e moderno dell'idea che ci eravamo portati dentro, nel nostro immaginario. Buone strade, in grande ampliamento (quasi tutte a quattro corsie, anche quelle dell'interno dell'altopiano anatolico), ricca campagna abbastanza ben coltivata, città industriali che hanno poco da invidiare agli standard europei. Veramente un salto di qualità rispetto gli stati precedentemente attraversati in questo viaggio (soprattutto Croazia, Serbia-Montenegro, Bulgaria). Le città sono ordinate e pulite, assolutamente sicure, con pochissima microcriminalità  e anche nei villaggi di campagna, pur chiaramente più arretrati rispetto i grandi centri abitati, la vita sembra avere degli standard più che accettabili. Città come Nigde sembrano assolutamente europee, sia come stile di vita che come abiti: i ragazzi potrebbero essere tranquillamente dei normalissimi giovani italiani, anche come tratti somatici, tutti con telefonino (ahimé), abbastanza ben curati. La presenza dell'islamismo non è poi così invasiva come ci immaginavamo, se si esclude il canto dei muezzin (ma i rintocchi delle nostre campane non sono certo da meno)  e anche le donne con il velo non sono certo la maggioranza. Insomma, ottima impressione e un'accoglienza entusiastica e positiva, sembra proprio un paese pronto ad entrare in Europa, pur a dispetto della sua posizione geografica. L'unico aspetto che ci ha colpito in qualche misura in negativo è il grande dispiego di forze dell'ordine (non solo quelle che sono state impiegate a scortarci per tutto il paese!) e la presenza, un po' inquietante, di moltissime caserme dell'esercito: forse ancora un po' troppe per un paese democratico.

Lasciamo Nigde e i suoi meleti famosi in tutta la Turchia e ci inoltriamo per una trentina di chilometri in un paesaggio abbastanza arido, ancora a quota 1200 metri. Tra il 35 e il 45 chilometro affrontiamo i primi due passi che ci fanno toccare quota 1600 metri e poi ci godiamo una bella discesa fino al paese di Ulukisla, cittadina che resterà nella nostra memoria per i banchetti che vendevano cavoli-verze dalle dimensioni inimmaginabili, ipertrofici, ma all'apparenza assolutamente genuini.

Dal paese di Ulukisla la strada si insinua lungo una bella ed ampia valle che sfila sotto vette altissime, alcune addirittura con qualche traccia di neve, e lo spettacolo è assolutamente delizioso. Se si aggiunge che questa valle è un falspoiano in discesa e che il vento ci soffia generosamente sulle spalle, potete immaginare la nostra goduria di coprire circa 30 chilometri alla media oraria di 45 kmh: la temuta tappa sta già assumendo delle medie assolutamente inaspettate, che si riveleranno tali anche alla fine della giornata.

Ma la giornata di oggi è speciale per il gruppo anche perchè è il compleanno di Giovanni Vidale, il terribile nonno di ferro della compagnia che oggi festeggia i suoi 66 anni in sella alla bici, Uno straordinario esempio per tutti noi, che in cuor nostro ci auguriamo di arrivare alla sua età nella stessa forma fisica e soprattutto con la voglia di viaggiare e conoscere il mondo in bicicletta. E' una promessa Giovanni, faremo di tutto per mantenerla, intanto cercheremo di organizzare un altro viaggio nei prossimi anni ancora con te. Si sprecano i cori, addirittura i brindisi in corsa durante la sosta pasta, (un bicchiere di vino fa bene anche in bicicletta, anche se qualche purista può arricciare il naso, ma questa è la nostra filosofia, chi ci ama ci segua). E oggi anche il forum è letteralmente intasato dai messaggi di felicitazioni e di auguri per il nostro Giovanni: deve essere veramente contento pensando a quanta gente gli vuole bene.

Ho già accennato alla sosta pasta, effettuata al 130° chilometro, quando ormai la parte più dura della tappa è finita: restano solo 75 chilometri di discesa e di pianura. Sì, perché oggi scendiamo a livello del mare e arriviamo nella zona più meridionale della Turchia, passando per Tarsus, città natale di San Paolo, e giungendo ad Adana, la quarta città per numero di abitanti della Turchia. E la nostra è stato un tuffo dalle montagne al mare, dalla vegetazione alpina a quella tipicamente mediterranea: il vialone finale di 35 chilometri (anch'esso a favore di vento, una sfortuna sfacciata) è punteggiato da moltissime palme e da meravigliosi buganvillea, mentre ai nostri lati sorgono moltissimi agrumeti. Veramente un cambio repentino e quasi scioccante. Anche il caldo si fa sentire per la prima volta in maniera importante: sarà il nostro compagno di viaggio per le restanti due settimane, dovremo rispettarlo e domarlo, senza restarne soppraffatti. Ma l'esperienza ce l'abbiamo e non temiamo più niente. Che siamo nel sud lo si capisce anche dagli abiti delle persone che vediamo lungo la strada, soprattutto quelle dei villaggi, dove gli uomini portano con sempre maggiore frequenza i tipici pantaloni con ampio "cavallo" e stretti alla caviglia. Ci viene voglia di comprarne un paio.

In albergo, come detto, ci godiamo la sacrosanta birra e passiamo all'altrettanto magnifico rito della rigenerante crema sui muscoli provati dai 211 chilometri odierni. Domani ci aspetta l'ultima tappa turca, la tredicesima, fino ad Iskenderun e dopodomani finalmente sconfineremo in Siria. Stiamo scalpitando dalla curiosità.

Punto tecnico

Tappa molto lunga, al momento detiene il record con 211 chilometri e con 5 passi, pur affrontati partendo dall'altopiano attorno a quota 1200. Dopo i primi due passi, a quota 1460 e 1600, affrontiamo un lungo falsopiano in discesa e successivamente altre tre salite, per un totale di 1397 metri di dislivello. Altra foratura di Bepi, in salita, l'unico modo perché non scollini per primo. Ma non pensate male, non c'è stata alcuna premeditazione. 

Partenza ore 7.29, arrivo ore 18,02, tempo effettivo h. 7,15, media oraria 29,1, chilometri 211.


20^ tappa: 23 agosto 2004

Adana - Iskenderun km. 148 (3144)

Scriviamo queste brevi note durante la sosta pranzo: stiamo imparando ad ottimizzare i tempi per riuscire a fare tutto. Il proverbio più adatto per la giornata odierna è di sicuro "non è tutto oro quello che luccica". In viaggi lunghi come questo ci sono sempre delle giornate negative, brutte, noiose, decisamente antipatiche. Oggi è scoccata l'ora e la tappa Adana-Iskenderun appartiene a questa famiglia.

L'abbiamo capito fin dai primi chilometri, quando abbiamo percorso l'ampia tangenziale in uscita dal grande centro di Adana.

Panorama piatto e poco significativo, sole velato (unica nota positiva), il coperto di una pentola a pressione appoggiato sopra il casco, una patina opaca stesa davanti agli occhi quasi fosse una cataratta, l'asfalto tornato per l'occasione infame e terribile, un'interminabile serie di salti e di sobbalzi, di media uno ogni 5/6 metri spalmati su 140 chilometri. Resa l'idea?

Oggi non è proprio giornata, eppure bisogna andare avanti, volenti o nolenti. La forza e il carattere del gruppo si misura in giornate come queste, in cui la stanchezza e il nervosismo tendono a farsi spazio, a fuoriuscire ed esplodere. Noi oggi riusciamo a contenere i malumori e andiamo avanti  a testa bassa, poca voglia di parlare, occhi a terra e stare attenti, perché ci mancherebbe solo una caduta. Eppure l'ineffabile Mister X, sì per chi ha letto il nostro libro Strade d'Oriente è sempre lui, cerca ostinatamente di dimostrare che i 36 gradi raggiunti a mezzogiorno sono una temperatura accettabile, quasi fresco, da essere contenti. Più di qualcuno vorrebbe incenerirlo.

Oggi si supera quota 3000 chilometri e ci sentiamo sempre più vicini alla meta.

La sera precedente Adana ci ha riservato una grossa e piacevole sorpresa: ci ha accolto con una gigantesca moschea, diventata il simbolo della città, di recentissima costruzione (1998) che presenta sei minareti. E noi che pensavamo che la Moschea Blu di Istanbul fosse l'unica al mondo a presentare questa caratteristica! Non si finisce mai di imparare.

Di giorno la moschea è imponente ma è di notte che offre il meglio di sé, con i minareti illuminati da giochi di luce che ne mettono in risalto tutta la plastica bellezza. E la vista dal ponte romano ad otto arcate, specchiata sul fiume, merita veramente la pena, come ha subito colto il nostro Orlando.

Poco da dire, come accennato poc'anzi della tappa odierna, tipica tappa di trasferimento verso il confine siriano, che attraverseremo domani. Ci sarebbe solo da parlare del masochismo del ciclista, neppure troppo latente, ma questo è argomento più da psicoanalisi che da un semplice diario di viaggio.

Comunque restano i flash delle raccoglitrici di cotone lungo la strada, di bimbi-pastori che da lungi ci vedono e ci salutano fischiando, di gente che aspetta il pullman (che sembra non arrivare mai) e ci applaude al passaggio. La sera arriveremo ad Iskenderun, l'antica Alessandretta, porto del sud della Turchia.

Chissà che questa notte si dorma meglio che la notte precedente ad Adana: confidiamo nella brezza del mare, nostro amico ed alleato.

Ma partiti dalla sosta-pasta ecco che avviene la nemesi: dopo 300 metri affrontiamo un dosso e dall'alto ci appare improvviso, magnifico, liberatorio, blu. E' lui il nostro mare, anzi il Mare nostrum, il buon vecchio e caro Mediterraneo, vasto, rassicurante, protettivo come solo un buon amico può essere. La sua sola vista ci fa sciogliere il grumo di tensione e di malumore accumulato nei precedenti 115 chilometri, ora siamo cambiati, più allegri, distesi. E gli ultimi chilometri ce li godiamo grazie ad una strada costiera panoramica che domina dall'alto il Golfo di Iskenderun. Come sono volubili gli uomini, come sono volubili i ciclisti: sono bastati questi pochi chilometri per darci la carica e per restituirci il buonumore. Pochi chilometri? In effetti sulla carta ne mancavano solo 19 ed in effetti attraversiamo una Iskenderun paralizzata dalla polizia che blocca tutti gli incroci per farci passare in sicurezza, con giornalisti e paparazzi che ci inseguono in moto per filmare il nostro arrivo. E' stato un vero colpo basso al nostro orgoglio, più di qualcuno ha gonfiato il petto e si è sentito importante. Diciamo pure tutti. Giro d'Italia? Ma per favore!

Poi abbiamo cominciato preoccupantemente ad uscire dalla città per uno, quattro, otto, dieci chilometri, sempre seguendo la polizia. Qualche imprecazione, qualche momento di nervosismo: non c'è niente di peggio che dover pedalare quando invece si è sicuri di essere arrivati.

Ma il gioco ha valso veramente la pena: dopo 12 chilometri siamo giunti in un albergo in riva al mare, per giunta con piscina. Il tempo di scaricare i bagagli, bersi velocemente la rituale birra e dopo 10 minuti tutti in piscina a godere un imprevisto e meraviglioso relax, in un'atmosfera da discoteca e con qualche donna velata sul bordo della vasca e un paio completamente vestite dentro l'acqua. Come faremo a far credere che stiamo tanto soffrendo? Effettivamente, non stiamo assolutamente soffrendo. Ci voleva veramente: questa seconda parte della tappa sta a dimostrare che chi stringe i denti spesso viene premiato.

Punto tecnico

Poco da dire di questa tappa completamente pianeggiante, 148 chilometri senza strappi ma con un fondo sconnesso, probabilmente una gettata di asfalto su un precedente strato di lastroni di cemento. Le braccia e il culo soffrono, ma tra maree e piscina hanno avuto la giusta ricompensa.

Partenza ore 7.31, arrivo ore 15,02, tempo effettivo h. 5,20, media oraria 27,7, chilometri 148, totale parziale km 3138.


21^ tappa: 24 agosto 2004

Iskenderun - Aleppo km. 149 (3293)

Oggi anticipiamo la partenza alle 7: il caldo detta i ritmi ed è lui da adesso il nostro padrone e signore. Bisognerà assogettarsi rispettandolo e adeguandosi ai suoi ritmi. Qualcosa ci dice (l'esperienza) che in futuro saremo costretti a partire ancora prima.

I 7 chilometri di lungomare ce li godiamo pedalando lentamente e inebriandoci degli aromi mediterranei che riusciamo ad accaparrarci a pieni polmoni, un ricordo che ci porteremo dentro nei prossimi giorni di arido deserto. Lungo le spiagge ancora assonnate riconosciamo i ritmi e le abitudini a noi tutti ben noti: la passeggiata di qualche anziano mattiniero, i gesti lenti di un pescatore, la corsa liberatoria di un cane, il rientro di un peschereccio. Tutti gesti che ci riportano ad una matrice comune, il nostro Mediterraneo, che ci danno il senso della nostalgia: Sì perché quando si viaggia, è inutile nasconderselo, si impara a convivere con la nostalgia, che sembra di per sé una brutta cosa perché rischia di togliere naturalezza e freschezza al mondo tutto da scoprire che si vuole affrontare, ma è un sentimento più che naturale che, se gestito con oculatezza ed arginato adeguatamente, può paradossalmente aggiungere sale al viaggio stesso.

Ma la costa mediterranea ci regala un fugace saluto perchè dopo 8 chilometri ci inerpichiamo affrontando l'ultima salita turca (e la penultima dell'intero viaggio, escludendo il temibile arrivo a Gerusalemme) che ci porta verso Antiochia: è una valle verde e abbastanza stretta che sale fino a 740 metri: di tutto rispetto quindi, dato che si parte dal livello del mare. Attaccarla alle 7.30 di mattina è stata la nostra salvezza: siamo giunti in cima straordinariamente madidi di sudore, come mai era capitato a nessuno di noi. Splendidi scorci di verde e di vette sopra di noi, che più volte ci hanno fatto ricordare le nostre montagne (a proposito di nostalgia!): l'unico elemento destabilizzante rispetto i nostri monti - ed incredibilmente affascinate - è la presenza ripetuta dei sottili ed aerei minareti, che caratterizzano anche questo paesaggio montano.

Giunti in cima ci godiamo una meravigliosa discesa ampia e con dolci curve, che invita ad essere affrontata "a tomba aperta" e qualcuno di noi non si tira indietro. Il caldo, i profumi che scivolano sulla pelle, l'ebbrezza della velocità: ecco i ricordi che ci portiamo dentro di questa parte di Turchia, la più meridionale, antica terra dei Lici.

Oggi per la prima volta indossiamo una maglia diversa, rossa, quella del Comitato Regionale Veneto, il cui presidente Raffaele Carlesso, ci ha sempre seguito e incoraggiato con passione. Il vero problema è che le nostre maglie bianche riportano in grande evidenza il luogo di arrivo della nostra avventura, Gerusalemme, e oggi dobbiamo entrare in Siria, nazione che non ha alcun rapporto con Israele e che addirittura non concede il visto ai turisti che hanno riportato sul passaporto il visto d'ingresso di Israele. Non è facile per noi riuscire a ottenere capra e cavoli, questo lo sapevamo dall'inizio, ed abbiamo deciso di tenere un profilo molto basso, cercando di passare quasi in incognito (per quanto possano passare inosservati 11 ciclisti in mezzo ad un confine desertico e con 40 gradi all'ombra). L'ingresso in Siria è uno dei momenti più delicati dell'intera spedizione per i motivi sopraccennati, tantoché più di qualcuno ha espresso forti dubbi sulle nostre reali possibilità di entrarci dovendo poi dichiarare di arrivare a Gerusalemme. Ma i sogni hanno la scorza dura e cercheremo di realizzarli ad ogni costo.

E la Siria rappresenta per noi una nuova dimensione, l'incontro con l'ignoto, lo sconosciuto, con realtà totalmente distanti da quelle cui siamo abituati. In fin dei conti anche in Turchia, finora, è stato come essere a casa nostra, con ritmi e dimensioni occidentali. Oggi invece si entra da una porta che ci introduce nell'ignoto, e ne siamo tutti particolarmente eccitati.

Tre ore di frontiera come vi sembrano? Poche o tante. Poche se si considera che poi alla fine siamo riusciti a passare (nonostante sul furgone campeggiasse la parola Gerusalemme), tante se si considera la lunghissima attesa a 36 gradi all'ombra dalle 11.40 alle 14.35. E comunque gli stessi responsabili della frontiera addetti al rapporto con i turisti stranieri ci hanno consigliato di dichiarare ai loro colleghi (!) che la nostra meta finale era l'Egitto. Strani posti queste frontiere, situazioni kafkiane in cui sei costretto a fare delle lunghe file senza capirne la vera ragione, dove hai la sensazione che i controlli non possono essere mai sufficientemente rigorosi, dove alcune persone in divisa hanno il totale potere su di te, che resti inerme e dipendente da loro. Brutte sensazioni, specie quando ti fanno capire che èmeglio ungere la ruota. Ma che ungere, che ruota, a noi le nostre ruote fanno solo sudare, e di quello vogliamo parlare.

Comunque l'ingresso in Siria tanto sospirato ci catapulta in una dimensione incredibile, diversissima: cambia totalmente il paesaggio, che fino a pochi chilometri prima era fertilissimo, con terra abbondantemente irrigata e coltivazioni di cotone a volontà. Adesso è arido, sassoso, brullo, desertico. Restiamo esterrefatti ed incantati. Anche le persone che si muovono all'interno di questo contesto sono diversissime, gli uomini con chiare tonache lunghe fino ai piedi, le donne spesso totalmente coperte con veli, calze e guanti neri. Incredibile, siamo entrati proprio in un altro mondo. Il mondo del caldo, del sole, della fatica. Dopo tre settimane eccolo, finalmente (?), opprimente, duro, tosto. Al sole raggiungiamo anche i 40 gradi e pedalare non è certo uno scherzo: si corre il rischio della disidratazione e dobbiamo continuamente riempire le borracce.

Ma la fatica è ampiamente ripagata dalla ebbrezza di scoprire questa realtà incredibile dall'alto del sellino, di poter osservare i numerosi olivi che punteggiano le enormi distese, di poter osservare i passanti e ele loro reazioni al nostro passaggio, di poter godere di tutto ciò. Restiamo senza parole ed ognuno immagazzina immagini personali che poi rielaborerà a casa, il volto di una bimba dagli occhi luminosissimi, delle strane casette composte da migliaia di sacchi di grano, il passaggio di una signora totalmente velata di nero che si stagliava sull'abbacinante chiarore della strada. Insomma arriviamo ad Aleppo eccitati come bambini e la visita al suk ci precipita ancor di più in questa atmosfera mediorentale che ci piace così tanto. Evviva, questo è il bello del viaggio.

Punto tecnico

Salita impegnati con 740 metri di dislivello nei primi 15 chilometri, poi la strada è nel complesso pianeggiante con qualche dosso ed ondulazione del terreno. Stiamo fermi tre ore alla frontiera turco-siriana per espletare tutte le numerose formalità burocratiche e riprendiamo in leggera discesa, affascinati dal brullo ma toccante panorama.

Partenza ore 7.10, arrivo ore 18,06, tempo effettivo h. 5,54, media oraria 25,1, chilometri 149, totale parziale km 3287.


22^ tappa: 25 agosto 2004

Aleppo - Homs km. 192 (3485)

Effettivamente non poteva esserci approccio migliore ad Aleppo: siamo stati ospiti dell'hotel Dar Halabia che si trova all'interno del pittoresco suk, vero caleidoscopio di colori ed immagini. Suoni, rumori, donne velate, belati di pecore, grida di richiamo, lunghe tuniche, profumi di spezie. Insomma un'atmosfera che più araba di così non si può, con la caratteristica suddivisione medievale del mercato per arti e mestieri, da una parte venditori di spezie, di stagno, di carne, di tessuti damascati, di frutta, di sapone. Dopo l'arrivo in albergo - una vecchia e tipica casa araba ristrutturata e restaurata con tutte le stanze arredate in stile arabo e brulicanti di tappeti affacciate sul cortile centrale e con ampia terrazza -  ci siamo lasciati piacevolmente trascinare dal flusso dei visitatori del mercato e ci siamo concessi qualche acquisto, delle tovaglie, qualche tessuto e soprattutto il famoso sapone di Aleppo, conosciuto in tutto il mondo, a base di olio di oliva e foglie di alloro, che ammorbidisce la pelle. Nelle trattative d'acquisto Giovanni Rebellato, forte delle sue esperienze in tutto il mondo, si è dimostrato di una spanna superiore a tutti gli altri e si è lanciato in serrate contrattazioni che lo hanno visto alla fine sempre vincitore (o quantomeno è stato fregato molto meno degli altri). E proprio questo è il bello dio questi ambienti: tranci di carne appesi a portoni secolari, drappi e stendardi a mo' di tetto, vicoli tortuosi, mercanzie sulla strada, asinelli cariche di merce che passano lentamente, capre in attesa di essere sgozzate. Insomma, un mondo diverso.

Aleppo ci ha fatto un'ottima impressione anche se l'unico vero problema è quello del tempo, che paradossalmente ci manca sempre. Pur viaggiando in bicicletta, con un ritmo quindi lento e rilassato, i nostri tempi sono compressi e a volte rimpiangiamo di non averne di più a disposizione. Ma tant'è. Questa mattina ad esempio la sveglia è suonata ad ore antelucane (alle 5) per avere la possibilità, dopo aver trasportato a mano i bagagli percorrendo a piedi mezzo suk (il nostro pulmino non è riuscito ad entrare nei vicoli tortuosi del mercato) alle 6.30. Ritmi dettati dal caldo: è importante macinare strada col fresco, portare fieno in cascina alle prime luci dell'alba, per evitare di trovarsi con la strada arroventata dai 42-43 gradi e dover percorrere ancora un centinaio di chilometri.

Da oggi cercheremo di partire molto presto, pedalare di buona lena fino a mezzogiorno, mezzogiorno e mezzo, con due soste brevi attorno al 60° e 100° chilometro, per fare la sosta pastasciutta attorno al 130-140° chilometro e quindi una siesta almeno fino alle 15 per rilassarsi e recuperare le forza in attesa che il disco infuocato diventi meno incazzato.

Da Aleppo seguiremo la direttrice verso sud in direzione della capitale Damasco lungo un larghissimo stradone, una vera e propria superstrada a quattro corsie, con l'asfalto molto buono. Resta il problema che la strada è abbastanza monotona, tendenzialmente un infinito rettilineo che porta verso chissà dove, e che le macchine passano veloci: insomma non è proprio il massimo per dei ciclisti, però la bontà dell'asfalto almeno ci rincuora e ci dà  la carica per pedalare. A tener svegli la nostra attenzione ci pensano i siriani che hanno la curiosa abitudine di viaggiare spesso contromano sulla corsia d'emergenza, fare inversioni improvvise oppure superarci a destra con piccole moto. Occhi aperti e non distrarsi mai! E lungo questo stradone che ci porterà ad Homs in 190 chilometri troviamo spesso  - in luoghi assolutamente desertici - uomini fermi che aspettano il passaggio di un ipotetico mezzo di trasporto. Vestiti con abito lungo e la caratteristica sciarpa in testa (stile palestinese, per capirci) sono lì, a fianco di questo lucido nastro di asfalto, che con indomito coraggio aspettano. E noi passiamo e li salutiamo, come ci salutano rumorosamente i molti camion che strombazzano con clacson polifonici superandoci.

Il paesaggio è nel complesso brullo, con una terra scura e punteggiata ogni tanto da olivi e pini marittimi. Anche qui in Siria i dossi sono presenti numerosi tantoché, alla fine di questa tappa che ci sentiremmo tranquillamente di definire pianeggiante, abbiamo fatto 880 metri di dislivello.

Ma il nostro avversario oggi è senza dubbio il caldo, che temiamo per la lunghezza della tappa che ci costringe a stare in sella almeno 7 ore. Rispettiamo le soste previste e quando ci fermiamo gettiamo la testa sotto l'acqua per cercare un po' di refrigerio. C'è anche chi preferisce bagnarsi completamente i vestiti, insomma ognuno cerca di trovare una sua personale soluzione al problema calore. Tanta frutta, ottimi fichi, uva, pere, le immancabili angurie. In queste occasioni l'intervento di Franca, Orlando e Giovanni Vidale è prezioso e basilare: quando stremati vediamo la sagoma del nostro mezzo Executive fermo al bordo della strada, loro sono già lì con le borracce fresche, con la frutta in mano, con tutto ciò che può dare sollievo a delle persone effettivamente sotto pressione. Grazie ragazzi, siete grandi.

Con questi ritmi arriviamo alle 12,15 che abbiamo già percorso 137 chilometri e ci fermiamo approfittando dell'ospitalità di un gruppo di arabi che gestisce un negozietto lungo la strada: in men che non si dica tiriamo fuori il pentolone per l'acqua e condividiamo con loro il nostro rito della pastasciutta. sotto il loro sguardo curioso e divertito. Cerchiamo un po' di refrigerio sotto la scarsa ombra, tiriamo fuori i materassini e cerchiamo di riposare (la temperatura all'ombra è di 37 gradi) il più possibile e comunque ci rilassiamo chiacchierando piacevolmente tra di noi e anche tentando approcci verbali anche con i nostri ospiti, sempre più divertiti.

Alle 15 (che caldo ragazzi!) ripartiamo per gli ultimi 47 chilometri che tutto sommato copriamo con dignità senza troppi problemi, grazie ad altre due soste, una per l'ennesima pompata di acqua e una per l'immancabile anguria.

Morale: arriviamo ad Homs dopo aver coperto 192 chilometri sotto un sole beduino che ci ha presi di mira dal primo all'ultimo minuto e noi abbiamo resistito perfettamente. 1 a 0 per noi.

Domani e dopodomani ci aspettano due giorni di visita allo splendido Krak dei cavalieri e alla città di Palmira. Siamo curiosi di immergerci nella storia della Siria, questo paese affascinante e misterioso.

Punto tecnico

Stradone non esaltante anche se ampio a quattro carreggiate con  buon asfalto. Alla mattina foratura di Alberto F. seguita a ruota da quella dell'altro veneziano Alberto L.G.

Partenza ore 6.32, arrivo ore 17.45, tempo effettivo h. 7,03, media oraria 27,2, chilometri 192, totale parziale km 3479.


26 agosto 2004

Sosta

L'approccio con la città di Homs, ieri pomeriggio, non è stato di certo dei migliori: dopo 190 chilometri sotto i feroci raggi del sole, abbiamo fermato un taxista, detto l'indirizzo del nostro albergo - tra l'altro a fianco dello stadio nazionale - e... non è successo nulla. Per tre quarti d'ora abbiamo girovagato senza meta per questa città molto grande ed abbastanza poco suggestiva (uso un eufemismo) dietro a questo taxi che si fermava ogni cinque minuti per chiedere informazioni. Veramente scoraggiante.

Poi, arrivati all'albergo, perfettamente in linea con l'impressione di squallore suggeritaci dalla città, scopriamo che mancano0 due stanze e che vogliono mettere le biciclette all'aperto in uno spazio incustodito. Passi per le stanze (in qualche modo il problema si risolve) ma non toccateci le bici. Questa è stata la linea del gruppo che si è subito inalberato davanti all'atteggiamento disarmante del personale dell'albergo, che pareva non aver nessuna intenzione di capire il nostro problema né tantomeno di risolverlo. Tanti sorrisi, I'm sorry, I'm sorry, ma poco arrosto. Avete presente quali possono essere le condizioni psicofisiche di 11 ciclisti che hanno pedalato per tutto il giorno in mezzo al deserto e al caldo infernale? Alla prima avversità c'è il rischio di alterarsi. E così è successo, soprattutto per l'atteggiamento di non collaborazione da parte di chi ci aveva messo in questa situazione. Comunque abbiamo alzato un po' la voce, telefonato al nostro corrispondente a Damasco e, molto lentamente, le cose si sono riappacificate: sono spuntate due stanze in un albergo vicino e lo stesso locale ci ospiterà, in una stanza squallida e puzzolente, i nostri fidi cavalli d'acciaio. Ci voleva tanto? Eppure abbiamo la sensazione che questi siano i ritmi da queste parti, cui dovremo in qualche modo adattarci per non mangiarci il fegato ogni volta. In fin dei conti sono queste piccole difficoltà, questi incidenti di percorso che rendono vivo e vivace un viaggio e nel complesso è la prima volta che - in 26 giorni di viaggio - viviamo un'esperienza del genere.

Non parliamo della cena, che doveva essere servita alle 21.00, mentre alle 21.30 non c'erano ancora i piatti e le posate! Comunque dopo è arrivata una razione esagerata di riso, pollo e patatine fritte e anche i nostri istinti bellicosi sono stati placati: a pancia piena si ritorna in possesso delle proprie facoltà.

Una buona dormita - fino alle 8.30, incredibile! - ha rimesso tutto a posto e i muscoli si sono rilassati: siamo pronti ad affrontare i due gioielli della Siria, il Krak dei cavalieri e, successivamente, in serata, la mitica città di Palmira, dove passeremo la notte e tutto il giorno successivo a riempirci gli occhi di questa meraviglia archeologica.

La nostra guida siriana, che parla un perfetto italiano avendo studiato 7 anni l'arte del ceramista a Faenza, si chiama Fawaz ed è un ragazzo intelligente e simpatico, molto posato ed efficiente. Durante il viaggio di avvicinamento al Krak dei Cavalieri ci introduce alla storia di questa fortezza costruita nell'XI secolo dai cavalieri crociati come baluardo contro gli infedeli tantoché quando la scorgiamo da lontano, sulla sommità di un colle ripidissimo (tutti noi ringraziamo la nostra buona stella che ci ha fatto decidere di recarcisi in pullman turistico e non in bicicletta), abbiamo già una perfetta confidenza con questa costruzione militare impressionante.

Il massiccio castello è dotato di un massiccio muro di cinta che racchiude e difende ulteriormente la vera e propria fortezza, che per l'appunto è stata per secoli l'avamposto della cristianità in mezzo ad un mare di ostilità. Gestito dai Cavalieri dell'ordine di Malta, i famosi monaci-soldati, poteva ospitare fino a 4000 persone, vera e propria cittadella fortificata per non mescolarsi con gli "infedeli". Altri tempi, certo, ma fa ancora molto effetto sentire parlare ai giorni nostri con toni simili ed esacerbati: in questa maniera non si ottiene di certo la pacifica convivenza.

Visitiamo le imponenti rovine, perfettamente conservate, le stalle (che cavalieri sarebbero stati infatti senza cavallo?), la magnifica sala gotica di rappresentanza, una piccola chiesa all'interno della quale un bambino locale si produce in suggestivi e languidi canti arabi. Da far accapponare la pelle! Giovanni, con la sua telecamera, non si è certo lasciato sfuggire una chicca del genere.

Per pranzo, forse per scusarsi del trattamento poco adeguato riservatoci la sera prima, l'agenzia di viaggio cui ci siamo affidati per i pernotti in Siria ci offre un ottimo ed abbondante pranzo a base di antipasti siriani con infinite salse, humus, melanzane e aglio, yogurt etc..., e un ottimo pollo ruspante. Mangiamo con grande gusto, ma forse un po' troppo: ci siamo dimenticati che non siamo più in bici e quest'oggi non consumeremo più di tante energie.

Al ristorante una delle attrazioni è stato osservare (con un certo distacco) due donne completamente velate che erano intente a mangiare: si sono fatte scommesse su come riuscivano a infilare in bocca il cibo senza scoprirsi. Tutto sommato il mistero è restato.

Sufficientemente satolli ci mettiamo in viaggio nel pullman che ci conduce direttamente a Palmira e quei pochi che non sono crollati sui sedili hanno potuto vedere per la prima volta l'arido e infinito deserto siriano. Una distesa di terra e sassi, un po' di sabbia, qualche beduino, qualche improponibile gregge di pecore e un nastro di asfalto lucido, che spesso riporta indicazioni per l'Iran. Basta questa scritta per ritornare con i piedi per terra dai luoghi mitici a quelli drammaticamente reali, ove si combatte una guerra stupida ed infinita, dove si continua a morire.

Che dire di Palmira? Città incredibile, enorme, caratterizzata dalla presenza di un colonnato lungo un paio di chilometri che costituisce una quinta  straordinaria: nessuno di noi se la immaginava così bella, così grande, così ricca quando ha raggiunto il suo massimo splendore nel II secolo d.C., al punto da contrastare la potenza di Roma.

E la mitica figura della regina Zenobia, sovrana forte e decisa, che ha portato la sua città-oasi all'apogeo della potenza. Come non pensare alla nostra personale regina, Franca, che sta convivendo tranquillamente da quasi un mese con 12 uomini?


27 agosto 2004

Sosta

Ieri al tramonto ci siamo goduti una visita veramente straordinaria alla città di Palmira, chiamata così perché si trova in una grande oasi del deserto circondata da numerosissime palme. Il rosa del tramonto ha enfatizzato il colore delle innumerevoli colonne che costituiscono un lunghissimo passaggio e lo spettacolo ha lasciato senza parole tutti noi. Sapere poi che questa città solo da pochi anni è stata oggetto di compiuti scavi archeologici e che allo stato attuale si parla ancora di 40% di materiale ancora nascosto sotto la sabbia e le pietre ci fa pensare che, quando finiranno i lavori, questo sito dovrà essere uno dei più importanti del mondo.

Ci siamo goduti anche la visita all'anfiteatro ma ci è piaciuto soprattutto perderci per queste rovine, dove si entra senza pagare biglietto - quantomeno nello spazio del colonnato e dell'anfiteatro. Ci sentiamo come quei viaggiatori dell'Ottocento che durante il Grand Tour in Italia si avvicinavano alle realtà di Pompei ed  Ercolano dove tutto era lasciato all'aria aperta incustodito, con venditori di limonate e di pezzi di antiquariato (presumibilmente finti) che infastidivano i visitatori. E anche noi siamo stati assaltati da un nugolo di ragazzini che volevano vendere cartoline, oppure acqua fresca, o anche offrire un giro in cammello.

Cena al nostro albergo e poi qualche giro per i negozi alla ricerca di qualche bracciale d'argento beduino.

E la mattina è stata un'alba tragica, o quasi. Sembra incredibile ma ci sentiamo quasi condannati a pedalare, a mantenere il ritmo incalzante della bicicletta e quando invece ci rilassiamo e ci concediamo un po' di riposo (e soprattutto di indispensabile turismo) l'equilibrio si rompe. Tre o quattro di  noi sono stati male la notte e dalla loro faccia traspare tutto il malessere: la malattia del viaggiatore, che da un paio di settimane aveva visitato sporadicamente qualcuno, ora si fa sentire attaccando in massa. Stomaci ed intestini in subbuglio, le scorte di Dissenten vengono prese d'assalto, qualche viso provato.

Che sia meglio sempre pedalare? Eppure, sembra paradossale, ma anche per i ciclisti professionisti i giorni di riposo nei lunghi giri (Giro d'Italia e Tour de France) sono quelli più delicati e il giorno successivo, al rientro in bici, ne succedono spesso delle belle. Staremo a vedere, anche se qui il nostro obiettivo è arrivare tutti e bene.

Mancano solo tre tappe, cinquecento chilometri, ce la dobbiamo fare.

Svegliarsi a Palmira, a parte i problemi fisici, è stato incantevole e ancor di più passeggiare nuovamente tra le sue rovine, visitare il gigantesco tempio di Ba'al, la massima divinità palmiriano (di origine fenicia), camminare nella valle delle tombe, gigantesche torri dove venivano inumati in loculi verticali i discendenti delle principali famiglie di Palmira.

Girando tra questi scorci misteriosi e sconcertanti non possiamo non pensare alle importanti persone che ci hanno preceduto parecchi decenni prima, da Lawrence d'Arabia ad Agata Christie e anche noi ci sentiamo un po' degli avventurieri. Ma una sensazione che dura solo qualche minuto, poi ci giriamo e incrociamo lo sguardo con altri turisti (non moltissimi perché agosto è un mese troppo caldo) e il fascino e l'illusione svaniscono subito.

Al pomeriggio torniamo ad Homs, da dove domani ripartiremo finalmente in bici alla volta di Damasco. Speriamo di rimettere in sesto i cocci delle nostre viscere perché ci aspettano 163 chilometri di deserto, non bruscolini.

E alle 20.00 abbiamo appuntamento con il ministro siriano del turismo.


23^ tappa: 28 agosto 2004

Homs - Damasco km. 163 (3648)

Finalmente questa mattina all'alba si è celebrato il sospirato rito della vestizione: abbiamo nuovamente indossato i pantaloncini col fondello, ancora umidi per il quotidiano lavaggio e la nostra maglietta bianca - versione senza maniche per il grande caldo - che si trasforma in una candida corazza protettiva. Così vestiti, come il nostro solito, siamo convinti di riuscire ad esorcizzare qualsiasi maledizione di Tutankamen e di completare in tutta tranquillità il nostro percorso sulla via di Damasco: infatti oggi giungeremo nella sospirata capitale siriana. Sembra incredibile ma non vedevamo l'ora di riprendere a pedalare: se in Cappadocia sembravamo dei goffi albatros che camminavano per terra, nella splendida Palmira ci siamo sentiti dei pulcini bagnati, per quanto esaltati dalla bellezza e dalla irripetibilità di quei posti. Non c'è niente da fare, quando si viaggia la bicicletta ti fa assorbire dei ritmi e delle abitudini che entrano piano piano nei bioritmi di tutti i giorni, la sveglia all'alba, la colazione abbondante, la prima sosta, la chiamata dei dieci minuti alla ripresa, la sosta pastasciutta, l'ottimo India caffé nella nostra fida moka da 12 che ci segue fin dalla Cina (qualche rara volta addirittura un resentin con la grappa), la sosta anguria, il rito della birra giacciata all'arrivo, la doccia bollente e ristoratrice, i massaggi con le pomate Ozone, la cena collettiva, la passeggiata serale. La ripetitività infonde sicurezza, offre garanzie, toglie forse un po' di poesia ma in un gruppo così numeroso è impossibile non avere dei tempi così scadenzati. E quando si esce da questa routine, si rompe il ritmo e ci si "imballa". Ieri è toccato allo stomaco e all'intestino di alcuni di noi: la miglior medicina sono senz'altro i pedali.

Sveglia alle 5, colazione abbondante a base soprattutto di formaggio e di ottime olive, quindi recuperiamo le bici parcheggiate nell'albergo a 500 metri di distanza dal nostro e alle 6.20 riusciamo finalmente a partire: ci attendono 163 chilometri fino alla capitale siriana e temiamo molto il caldo, motivo per cui cercheremo di effettuare almeno l'80% della tappa prima della sosta pastasciutta, che attendiamo con impazienza proprio perché ci rimetta a posto lo stomaco, dopo le salse e salsine dei giorni precedenti. In più qui in Siria tira sempre un vento molto teso che plasma i pochi alberi e che spira sempre trasversale e che può quindi creare un ulteriore ostacolo al nostro procedere. Imbocchiamo la superstrada in direzione Damasco, solito stradone trafficato a quattro corsie che oggi presenta una sottilissima coltre di smog che ristagna lungo il nastro d'asfalto: una sensazione veramente sgradevole. Siamo superati da improbabili camion sbuffanti fumo nero che ci salutano con colpi di clacson rumorosissimi, ogni tanto scorgiamo qualche carico di gommapiuma dalle proporzioni gigantesche che veleggia sopra quattro ruote, con il grossissimo rischio di sbandare per le folate di vento. Mano a mano che lasciamo Homs abbandoniamo anche la zona relativamente verde e ci inoltriamo in un altopiano di steppa desertica, con montagne sassose e pietraie sconsolanti. E la strada, neppure tanto impercettibilmente, continua a salire: dai 550 metri di Homs tocchiamo quota 800 poi 1000, quindi 1100, 1200, 1400, insomma non ci fermiamo più nell'ascesa, e pensare che eravamo convinti che la tappa fosse nel complesso pianeggiante! Bisogna sempre dotarsi di una cartina dettagliata! Comunque, nonostante la salita - che del resto è molto dolce e continua - le gambe rispondono bene per tutti e i dubbi del giorno prima sono naufragati: il gruppo ha risposto alla grande. Del resto, dopo 3700 chilometri, le gambe sono in ottima forma e ci porteranno senza indugi alla meta finale, distante ormai solo due tappe.

Lungo l'autostrada osserviamo ancora persone ferme che aspettano chissà cosa - probabilmente un autobus ma non ci sono mai segnali di fermate - spesso militari (il paese presenta un numero veramente notevole di persone in divisa, ahimè) e altrettanto spesso fermi sotto un ponte autostradale, cioè alla sospirata ombra. Questi posti si trasformano alcune volte in luoghi di socialità, con banchetti di ambulanti che vendono frutta, tè, bibite: del resto qui l'ombra è oro. E noi ce ne accorgiamo bene perché non riusciamo mai a trovarla, a volte neppure durante le soste per rinfrescarci, durante le quali il pulmino d'appoggio subisce dei veri e propri assalti all'arma bianca per la conquista di un grappolo d'uva, di una sorsata suppletiva di acqua o di coca cola, di una fetta biscottata, di un panino allo speck dispensati dai nostri infaticabili vivandieri: cosa faremo senza Franca e Orlando!? Sono diventati dei bravissimi cercatori di acqua, bene preziosissimo e assai difficile da trovare.

Lungo questa interminabile autostrada, che per fortuna ci regala 30 magnifici chilometri di planata in discesa, osserviamo numerosissimi ritratti giganteschi del presidente siriano Al Hassad II, spesso addirittura raffigurato insieme al padre, Al Hassad I. Mosaici, ritratti scolpiti nella roccia, in mezzo al deserto più brullo, nelle grandi città, perfino nei siti archeologici più importanti: quello sguardo e quei baffetti apparentemente innocui ci sono diventati familiari, anche se questo culto della personalità appare ai nostri occhi abbastanza fuori luogo e inquietante.

Sosta pasta al km 140: è mezzogiorno e mancano solo 23 chilometri all'arrivo. Possiamo festeggiare degnamente il superamento anche di questa tappa con un'ottima pastasciutta - mangiata prevalentemente in bianco. Del resto la giornata di oggi ci ha graziato: il fatto che fossimo per molte decine di chilometri in altura, tra i 1200 e i 1400 metri ci ha fatto respirare e il caldo non è stato così aggressivo come temevamo.

Come volevasi dimostrare: quasi ogni volta la tappa temuta alla mattina si rivela alla sera più facile del previsto. E domani ci attende una maratona: 210 chilometri di deserto con la temibile frontiera siriano-giordana. Se anche la giornata di domani la passeremo indenni, è fatta.

Punto tecnico

Stradone ampio a quattro carreggiate con  buon asfalto ma caratterizzato dalla presenza di moltissimo smog. Alla partenza foratura di Massimo, che cambia anche il copertone ed entra nella famiglia degli arlecchini, con una ruota rossa e una gialla.

Si sale fino a quota 1440 metri per scendere poi fino ai 765 di Damasco.

Partenza ore 6.20, arrivo ore 14.45, tempo effettivo h. 5,50, media oraria 27,8, chilometri 163, totale parziale km 3642.


24^ tappa: 29 agosto 2004

Damasco - Amman km. 207 (3855)

Ieri serata da leoni a Damasco: nel tardo pomeriggio ci siamo concessi una bella passeggiata per il centro storico della città e ci siamo immersi ben volentieri nel frizzante clima della capitale siriana. Per la prima volta dopo tanto tempo passeggiamo per il centro commerciale di una grandissima città, con belle vetrine, grandi firme, negozi lussuosi, alberghi di lusso.

Indubbiamente qui a Damasco si respira un'atmosfera diversa, lungo le strade notiamo passeggiare molte donne velate ma anche parecchie vestite all'occidentale. E a dispetto di ciò che pensavamo, osserviamo molte persone - sia donne che uomini - dalla carnagione bianca, a volta addirittura con i capelli rossi e gli occhi chiari.

Affascinati da questa atmosfera da città occidentale, abbiamo gettato volentieri lo sguardo nelle vetrine (immancabili negozi Benetton e Stefanel) e siamo restati colpiti dal fatto che non si capisce assolutamente nulla neppure i numeri! Ma come, siamo in un paese arabo, patria dei numeri diffusi in tutto l'occidente, e qui non si usano i numeri che hanno inventato?! Effettivamente scopriamo che qui si usano i numeri indiani, traccia del grande flusso di traffico che storicamente si è sviluppato tra i paesi arabi e l'India. Anche le targhe sono quindi incomprensibili! C'è sempre da imparare qualcosa!

Alle 20.00 ci siamo recati dal ministro del Turismo siriano Saad Aga al Kalla, che ci ha accolto con grande entusiasmo organizzando una piccola conferenza stampa con giornalisti e fotografi locali. Tutti attorno ad un grande tavolo ovale, come fossimo una importante delegazione di politici, abbiamo ascoltato le parole del ministro che ha soprattutto sottolineato la continuità dei rapporti tra Siria e Venezia, il cui primo documento risale al 1207, un importante accordo commerciale tra il Doge e il sultano di Aleppo. E in qualche modo il nostro viaggio si inserisce in questo quadro storico, anche se il ministro non ha mancato di sottolineare il concetto di pace che, con evidente riferimento ad Israele, per la Siria non può esistere se non è una "pace giusta".

Cominciamo per la prima volta a scontrarci con la realtà al di là dell'uso delle parole: evidentemente per noi è più facile parlare di pace rispetto alle persone che invece vivono quotidianamente tensioni se non guerre. La Siria non ha alcun rapporto con Israele da quando Israele ha occupato le alture del Golam, siriane, strategicamente importantissime perché ricche di acqua. Quindi anche dalle parole ufficiali del ministro traspare questa tensione evidentissima: è immergendoci in questo clima difficile, respirando l'odio e la diffidenza, che probabilmente si capisce l'importanza di questa parola, PACE. Chissà che serva anche a noi per capire che tra il dire e il fare ci sono di mezzo tante cose, e che questo ci spinga a lavorare un po' di più per promuovere la cultura della pace. Effettivamente noi non siamo un gruppo che sta svolgendo un lavoro particolare sulle problematiche della pace, il nostro coinvolgimento su questi temi è abbastanza viscerale e un po' - se volete - naif: cercheremo di crescere anche attraverso questa esperienza molto intensa e formativa.

Concluso l'articolato discorso del ministro, che assomigliava di più a un comizio, abbiamo consegnato allo stesso le targhe della Regione del Veneto, della Provincia di Venezia, del Comune di Venezia, il gagliardetto del Comune di Fontaniva, quello dell'AIL. Foto di rito, qualche domanda da parte dei giornalisti presenti delle più importanti testate siriane e la conferenza si conclude con i cordiali saluti e complimenti da parte del ministro.

Montiamo nel nostro pullman e ci godiamo una vista panoramica notturna di Damasco dall'alto delle colline che la sovrastano, colline desertiche e sassose ma fortemente urbanizzate, tanto da assomigliare ad un presepe incantato. Quindi ci aspetta una cena in un locale tipico damasceno (anche se tipicamente da turisti) dove il numero principale della serata è l'esibizione di un derviscio rotante con il suo avvitamento ciclico su se stesso, ossessionante ed ossessivo. Buona ed abbondante cena, anche se più di qualcuno tra noi era preoccupato data la tarda ora (abbiamo cominciato a cenare alle 22.00) e la prospettiva di svegliarsi alle 5 per la dura tappa Damasco-Amman.

Ed eccoci arrivati finalmente alla partenza della temuta tappa, saranno 206 chilometri di deserto e di fatica. Sveglia alle 5 e partenza alle 6.20: vogliamo assolutamente giungere alla frontiera siriano-giordano il prima possibile, presumibilmente attorno alle 10.45. Copriamo i 110 chilometri intervallandoli con 2 brevi soste (anzi tre calcolando anche una foratura di Francesco) e alle 11.25 giungiamo alla frontiera siriana sempre tramite l'autostrada che attraversa il deserto. Il vento all'inizio è stato sufficientemente nostro amico, poi si è messo di traverso, costringendoci ad utilizzare spesso la formazione a ventaglio, in cui i più esperti e anche i più affaticati cercavano riparo dietro le sagome più massicce. Senza troppi intoppi passiamo la temuta frontiera siriana (anche se il problema maggiore ovviamente era certamente l'entrata e non certo l'uscita) mentre in quella giordana... ci aspetta l'apoteosi. Apriti sesamo, diceva una volta Alì Babà. Apriti sesamo ci hanno oggi detto gli amici giordani che hanno organizzato la nostra permanenza presso la loro bella terra (in particolar modo il dott. Jamal) e le frontiere si sono spalancate davanti ai nostro occhi: una scorta di polizia ci ha guidato fino ai locali di rappresentanza dove ci attendeva il principale canale televisivo giordano, il generale capo della frontiera, rappresentanti del ministero del turismo, il sindaco dei territori a Nord di Amman. Insomma, accoglienza in pompa magna, con tanto di distintivo della Giordania infisso dal generale ad ognuno di noi, in fila come scolaretti emozionati davanti all'importante graduato. Discorsi di benvenuto, interviste, foto, te, caffè: coccolatissimi. Anche se poi, alla fine, due ore se ne sono andate lo stesso, ma effettivamente in una atmosfera cordiale, rilassata, riposante, niente a che vedere con le tre ore passate sotto il sole per entrare in Siria.

Ripartiamo alle 1.30 perchè mancano ancora altri 90 chilometri all'arrivo e dobbiamo ancora assolvere agli obblighi del nostro indispensabile rito quotidiano, la pastasciutta. Scortati dalla polizia percorriamo 15 chilometri e quindi troviamo il pulmino parcheggiato - nell'unica zona di ombra nel giro di qualche chilometro, complimenti ragazzi! - che ha già messo su il pentolone con l'acqua.

Il caldo non è particolarmente oppressivo, comunque sono sempre 37/38° e ci rimettiamo in sella con i nostri nuovi compagni di viaggio, i poliziotti, presenza cui non eravamo più abituati dai tempi della Turchia. Quella che in frontiera ci era stato assicurato sarebbe stata una strada totalmente pianeggiante si rivela essere (come volevasi dimostrare, mai chiedere giudizi sul percorso ad un automobilista!) con parecchi saliscendi e con vento contrario. La stanchezza comincia a trasparire dai volti tirati di noi ciclisti: gli strascichi intestinali stanno lentamente lasciando il segno (e anche i bordi della strada ne sanno qualcosa) e questa tappa si sta rivelando dura come temuto.

Poi, a 25 chilometri dall'arrivo, succede il patatrac: i poliziotti di scorta ci rivelano che non mancano  per l'appunto 25 chilometri bensì 60, perché il nostro albergo si trova a 35 chilometri dal centro di Amman. Attimi di sconforto, qualche maledizione neppure tanto soffocata, qualche scatto di nervosismo: questo è un vero e proprio colpo basso, anche perché sono già le 18.30 e da queste parti il sole tramonta alle 19:15. Come faremo a pedalare allo scuro nel traffico infernale della capitale giordana? A testa bassa e molto preoccupati riprendiamo a pedalare e ci troviamo davanti, in più, a delle montagne russe veramente impegnative che contribuiscono a minare le nostre gambe già provate. La tappa si sta trasformando in qualcosa di epico, l'importante è riuscire a mantenere le condizioni minime di sicurezza e a questo riguardo la scorta della polizia non sembra tanto efficiente. Su e giù, impreca e pedala, arriviamo ad un incrocio e i poliziotti, dietro nostre sollecitazioni, ci comunicano che l'albergo si trova ora a soli 5 chilometri. Ne percorriamo 6 e quando ci dicono che ne mancano altri 5 ci sentiamo presi in giro. Chiamiamo l'albergo e, con molte difficoltà, capiamo che effettivamente ci troviamo a 4/5 chilometri e la tensione si stempera. Arriviamo comunque anche grazie all'aiuto insperato di 4 giovani ciclisti giordani che hanno pilotato la stessa polizia, dopo esserci persi altre 3 o 4 volte, alle 20.00 ma davanti all'albergo ci aspetta una graditissima sorpresa: tappeti rossi e banda (con cornamusa?!), striscione di benvenuto, bandiera italiana e giordana. Veramente un'accoglienza con i fiocchi. A rendere il clima ancora più gioioso ed euforico c'è l'arrivo dall'Italia della mia famiglia (Alberto F.) Tiziana e Fausto assieme all'amica Franca Marcomin. Cosa c'è di più bello che avere delle persone care per festeggiare una simile giornata?

Oggi comunque, lo giuro, è stato infranta la regola: questa volta la tappa che prevedevamo dura si è pienamente rivelata tale. Però, c'è da dire che è la penultima. I prossimi tre giorni ci aspettano tre splendide giornate di visita nei siti archeologici e naturalistici giordani e poi... Gerusalemme.

Salam.

Punto tecnico

Stradone ampio a quattro carreggiate con  buon asfalto. Foratura di Francesco. Verso la fine la strada comincia a salire con dei sali-scendi spezzagambe. Tappa molto lunga e dura.

Partenza ore 6.25, arrivo ore 19.55, tempo effettivo h. 8.14, media oraria 25, chilometri 207, totale parziale km 3.849.


30 agosto 2004

Sosta

Giornata di riposo. Sacrosanta dormita dopo una giornata tanto dura? Sì, ma non per tutti, perché alle 6.30 Orlando, Franca e il sottoscritto si recano presso gli studi della televisione giordana per partecipare ad una importante trasmissione nazionale tipo "Uno Mattina" dove spieghiamo i motivi del nostro viaggio che ci ha portato fin qui. Al rientro in albergo troviamo tutta la truppa che ci aspetta pronta ad imbarcarsi in pullman per la prima visita: oggi ci aspetta il Mar Morto, il Monte Nebo, la città di Madaba. La picchiata da Amman al Mar Morto ce la studiamo bene perché questi 50 chilometri di rapida discesa li rifaremo in bicicletta giovedì, prima parte dell'ultima tappa. In discesa ci fermiamo lungo un tornante dove è ben evidente un segnale che marca il punto zero del livello del mare. E noi scenderemo di altri 420 metri, fino appunto alla superficie del Mar Morto, la depressione massima della terra. Dall'alto della strada scorgiamo la bruna fascia del fiume giordano, che rende fertilissima la valle che si insinua nell'arido deserto. Più oltre si scorgono le alture chiare e molto mosse di Israele, con il profilo della città di Gerico, nome che evoca suggestioni bibliche: ma qui dovremo abituarci perché ogni località richiama un passaggio o un personaggio dell'Antico Testamento, da Mosè a S. Giovanni Battista. Vengono i brividi, non si può restare indifferenti quando si tocca con mano la propria storia e le proprie radici culturali e religiose.

La nostra guida si chiama Ibrahim ed è un ragazzo molto sveglio e preparato culturalmente: siamo stati veramente fortunati come guide perché abbiamo sempre trovato persone intelligenti e vivaci, colte e stimolanti. Giungiamo sul Mar Morto e ci aspetta un'esperienza straordinaria: immergerci nelle salatissime acque di questo specchio d'acqua formato dal fiume Giordano che ha una concentrazione di sale spaventosa (34 %): e così la truppa dei Ponti di Pace si immerge nelle sue acque e... non affonda. E' pazzesco ma si galleggia in maniera impensabile: facendo il morto piedi e mani restano fuori dall'acqua e il corpo non affonda. L'unico problema è che bisogna stare attenti a non schizzare l'acqua dentro gli occhi ma la sensazione è davvero stupefacente. Dopo una rilassante nuotata, passiamo alla fase due, i fanghi: il candido ed immacolato gruppo ponti di Pace si trasforma in una truppa fangosa e completamente nera (messaggio per Ugo: Giovanni riesce perfino ad esibire una perfetta e compatta calotta scura). Insomma, una atmosfera di piacevole relax, se aggiungiamo i tuffi e le nuotate nella piscina dell'albergo che ci ha ospitato. Ci voleva.

Dopo pranzo, partenza per la città di Madaba, notissima per i suoi superbi mosaici bizantini e per la celeberrima pianta della Palestina, conservata (anche se parzialmente) nel pavimento della chiesa di San Giorgio, che ha un'enorme importanza storica e costituiva un punto di riferimento per gli antichi pellegrini che si recavano in terra santa. Purtroppo presenta molte lacune ma è molto suggestivo. Siamo anche ricevuti brevemente dal sindaco di Madaba che ci dà il suo benvenuto e il suo incoraggiamento per la nostra missione di pace: gli offriamo i doni ufficiali del Comune di Venezia e della Provincia di Venezia, riceviamo in cambio due suggestive targhe, una per la nostra Associazione Ponti di Pace e una per l'AIL.

Quindi, escursione al Monte Nebo, il luogo da dove Mosè contemplò la terra promessa e dove fece sorgere una ricca fonte d'acqua. Il panorama è veramente struggente, tutt'intorno distesa di deserto e cime notevoli: anche per noi quela terra che vediamo a pochi chilometri è una terra molto desiderata, attesa e conquistata, palmo dopo palmo, attraverso 30 giorni di faticosa ma piacevole pedalata. Dopodomani, si spera, ci metteremo piede, cosa che Mosè invece non è mai riuscito a fare.

Al ritorno in albergo siamo pienamente soddisfatti, abbiamo provato delle notevoli emozioni. E il bello deve ancora venire: domani Petra!


31 agosto 2004

Sosta

E' arrivato il grande giorno, si va a Petra, la mitica città dell'antica civiltà dei nabatei. Anche oggi la sveglia suona alle sei perché la strada per giungere fin lì è abbastanza lunga, trovandosi Petra nel profondo sud del paese. L'autostrada del deserto ci accoglie con un percorso completamente brullo e sassoso che sale lentamente fino a quota 1400 metri per poi scendere fino ai 1000 metri circa di Petra. E lì ci godiamo la visita di uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi che ci sia mai capitato di vedere. Già l'accesso è di un scenografico che di più non si può: si percorre a piedi il Siq, una gola strettissima e tortuosa, vera e propria spaccatura delle rocce, che ha sempre tenuto separato il mondo esterno dalla bella e ricca città di Petra, costituendo un impedimento naturale, una difesa, una protezione. La bellezza di questo budello è sconvolgente, rocce friabili e malleabili (arenaria) scolpite e plasmate dagli agenti naturali, curve sinuose, sovrapposizioni di strati di colore che vanno dal rosa al bianco, dall'oro al nero, pareti a strapiombo alte fino a 200 metri, una larghezza del passaggio che varia dai 12 ai 2 metri. Per fortuna non siamo in alta stagione e i turisti sono nel complesso pochi anche se siamo aggrediti (bonariamente) da una torma di venditori ambulanti e di cavalieri che offrono un passaggio a bordo di un asino, di un cavallo, di un calesse, di un dromedario, cioè un qualsiasi mezzo di locomozione che non siano i piedi. In effetti qui a Petra si cammina molto, per qualche chilometro, ma la fatica non si sente proprio compensata com'è da scoperte e da bellezze senza pari. E anche il prezzo del biglietto (circa 30 dollari) sparisce al confronto delle sensazioni godute durante la visita. Tutta scavata nella roccia, dai templi alle abitazioni e alle tombe, questa città si arricchì enormemente e prosperò grazie alla via carovaniera dell'incenso che l'attraversava e alla protezione che i nabatei stessi potevano garantire ai mercanti dell'epoca. Ci godiamo la vista mozzafiato  del Tesoro, il più spettacolare edificio di Petra reso celebre dal film "Indiana Jones e l'ultima crociata", poi le tombe reali, l'anfiteatro, la strada delle facciate, la strada colonnata. Da restare stupiti. La pietra arenaria con cui è stata costruita la città è estremamente morbida e soggetta all'erosione tanto che molti ornamenti sono poco leggibili e alcuni edifici presentano un certo degrado, ma ciò non toglie fascino al sito, anzi l'accresce. L'accresce perchè questa città, questi monumenti, queste pareti di roccia, cambiano colore con il passare delle ore e verso sera acquisiscono una tonalità rosata che ha dell'incredibile: sembra di stare ossservando tutt'altro complesso, diversissimo da quello ce si è ammirato la mattina sotto i raggi del sole diretto. Insomma, provare per credere, noi abbiamo provato e siamo restati sconvolti.

L'intera giornata dedicata a Petra non è ancora sufficiente ma è meglio di niente, anche perché concludiamo in bellezza: tramonto su Petra goduto dalla terrazza dell'hotel in posizione maggiormente panoramica della città. Scatenati cineoperatore e fotografo, anche perché sulla stessa terrazza siamo stati ricevuti dal Governatore della Regione di Petra, cui abbiano donato la targa della provincia di Venezia e che ci ha accolto con un bel discorso breve ma intenso. Capiamo che il turismo è una delle principali risorse dell'economia giordana e che, soprattutto in tempi di tensioni internazionali come questo, è per i giordani essenziale cercare di potenziarlo e promuoverlo. Anche la nostra spedizione può essere un mezzo. E noi lo facciamo volentieri, perché ci sta bene così.

Giornata con emozioni assai difficili da descrivere, domani ci recheremo al Wadi Rum, il famoso deserto di Lawrence d'Arabia. Altre meraviglie.


1 settembre 2004

Sosta

Partiamo da Petra lasciando un pezzo di cuore: questa città resterà senza dubbio nei ricordi più belli di tutto il viaggio, soprattutto il suo aspetto cangiante con il passare del giorno e il modificarsi della luce, che riflette sull'arenaria delle carezze rosate in grado di modificare del tutto l'aspetto conosciuto precedentemente. Niente da dire, la Giordania ai nostri occhi è apparsa come una nazione straordinaria con un potenziale turistico incredibile che in questi ultimi anni viene sfruttato degnamente. Come dice la nostra guida Ibraihm, il turismo è il petrolio per questo paese (ma anche l'Italia a suo tempo aveva inventato i "giacimenti culturali") e i pozzi sono ovunque. Oggi, ad esempio, ci rechiamo in un altro luogo affascinante, sempre nel sud del paese, il vastissimo deserto del Wadi Rum, il luogo dove per anni ha vissuto Lawrence d'Arabia, essendo poi questo luogo proprio al confine con l'Arabia Saudita. Vastità sassose, ampie vallate sovrastate da montagne assolate, canyon nella roccia che nascondono resti della misteriosa civiltà nabatea, graffiti scolpiti indicanti la presenza di sorgenti di acqua e le varie attività dell'uomo, il rumoroso silenzio di questi spazi così magici. Il deserto, uno degli ambienti più ostili e nello stesso tempo più attraenti, sarà per la contrapposizione con i nostri ritmi e la nostra vita moderna frenetica e rumorosa. Qui si viene a contatto con l'essenza della natura, qui si è esposti a tutto e più soli con se stessi. Vedere la roccia che rappresenta i Sette Pilastri della Saggezza dell'avventuroso inglese di nome Lawrence ci mette i brividi.

Visitiamo il deserto a bordo di tre jeep scoperte che ci portano in giro a visitare le cose più caratteristiche di questo ambiente, partendo dall'ultimo avamposto di un villaggio. Tutto intorno si vede qualche rara tenda di beduini: sembra incredibile ma c'è chi si accampa anche qui e che dal deserto trae fonte di vita - e non parlo di turismo ma di pastorizia, capre soprattutto. Il clima ci sorprende: ci aspettavamo un caldo insopportabile invece ritroviamo i soliti 39/40 gradi ma ovviamente molto secchi: ci viene da ridere pensando all'umidità cui siamo abituati a casa nostra e quindi sopportiamo con facilità anche questa prova. Magnifico e magnetico questo luogo, siamo veramente entusiasti di questa giornata che si conclude con il ritorno in pullman ad Amman, un ritorno che dura ben 4 ore perché la capitale si trova, come già detto, al Nord del paese. Giunti in albergo, dopo una visita serale breve ma intensa al suk della città, ci gustiamo la cena, dal sapore veramente particolare: è l'ultima cena di viaggio per noi nomadi ciclisti. Domani infatti si concluderà il nostro peregrinare e l'emozione è già ben palpabile questa sera.

Tutti a letto presto (?!) perché domani sarà il grande giorno. sarà davvero grande?


25^ tappa: 2 settembre 2004

Amman - Gerusalemme km. 104 (tot. 3959)

Siamo arrivati! 33 giorni fa (attenti ai simboli!) siamo partiti da Piazza San Marco - quello che noi veneziani consideriamo il nostro salotto di casa tanto ci sentiamo a nostro agio - ed oggi eccoci a Gerusalemme. Tanta strada, tanta esperienza, tanta fatica ma il tempo è passato in fretta in questo caleidoscopio impazzito di immagini che ci danzano ancora negli occhi. Venezia-Gerusalemme, due città accomunate dal simbolo cittadino, il leone, due città affascinanti e levantine, a più piani sovrapposti, da gustarsi lentamente scivolando dentro la loro realtà, la loro storia, le loro mille sfaccettature. Ed oggi siamo giunti fin qui, dopo esser partiti da casa nostra, dalla "strada degli orti" per giungere fino a bivi che due giorni fa indicavano IRAQ oppure BEIRUT. Sembrava incredibile eppure era vero.

Cosa dire? Come esprimere le emozioni che si portano dentro? Come non ripensare ai frenetici giorni di organizzazione, anzi ai primi giorni, di un paio di anni fa, quando il progetto ha preso forma? E il sostegno all'Ail, la decisione di sposare con passione questo progetto e di aiutare i molti volontari che dedicano il loro tempo a tale associazione? E le mille decisioni, i tanti dubbi, la scelta del percorso, le soste turistiche?

L'arrivo a Gerusalemme presso la porta di Jaffa, sotto la torre di David, ci fa riflettere su questo e tantissimo altro ma i pensieri sono confusi, c'è un groppo di emozione che ancora non si scioglie. C'è sempre poi, anche l'inevitabile disillusione provocata dalla fine di un viaggio, forse proprio perché la vera meta di un viaggiatore è il viaggio (grazie Ugo). C'è l'emozione, la tensione ma anche la stanchezza accumulata lungo questi 33 giorni, c'è la fatica dell'ultima tappa.

Infatti non si può dire che questa città non ce la siamo conquistata palmo dopo palmo, stilla di sudore dopo stilla di sudore.

Siamo partiti infatti questa mattina presto da Amman. Alle 6 e 30 l'aria è incredibilmente fresca e frizzante, di ottimo auspicio anche perché ci attende un inferno di calore ai - 420 metri del fiume Giordano, presso la frontiera giordano-israeliana e poi un'ascesa ostica fino ai 750 metri di Gerusalemme, vale a dire 1170 metri di dislivello!

E questa ascesa, tanto temuta, non è poi stata così tremenda, anche se per qualcuno si è trasformata in un vero e proprio calvario e se è anche sembrato, affrontandola a mezzogiorno in punto, di sentire da lontano suonare le trombe di Gerico, quando abbiamo sfiorato le mura della città biblica.

Al di là delle allucinazioni, abbiamo attraversato un tratto desertico abbastanza impressionante, con sassi e pietre a perdita d'occhio e un sole beduino che ci ha picchiato in testa (per forza, affrontare una salita da mezzogiorno alle tre di pomeriggio, per di più ai primi di settembre in Medio Oriente, non è certo il massimo). 40 chilometri di salita ma le gambe - e soprattutto la testa - ci sono e così attorno alle 15.00 riusciamo ad arrivare alla nostra meta finale. Baci, abbracci tra di noi, commozione lucida e contenuta, ma la fraternità che ci ha legato in questi giorni emerge sincera e spontanea. In questi 33 giorni siamo stati effettivamente bene tra noi, non è certo facile convivere e condividere gioie e dolori, fatiche e piaceri, non abbiamo avuto problemi, non ci sono stati problemi, arrotate, incidenti. Insomma 3950 chilometri per 11 persone fanno 43.000 chilometri senza cadute, dobbiamo veramente ringraziare la nostra buona stella... o chi di dovere, a scelta.

La primissima impressione è quella di trovarsi in una città affascinante e composita, dove si vedono parecchie persone - soprattutto giovani - indossare gli abiti degli ultra-ortodossi, con cappelli a larga tesa in testa, lunghi e nere pastrani all'apparenza anche molto caldi, e gli immancabili cernecchi, quella specie di basette a ricciolo che scendono a volte fin sulle spalle. Accanto a loro passeggiano tranquillamente persone vestite all'occidentale, gruppi di turisti sbracciati: insomma, un quadro articolato in una città viva e vivacissima, che non sembra per niente vivere in tensione. E' una città tranquilla, ove la vita sembra svolgersi con assoluta normalità, a dispetto di quanto normalmente ci viene rappresentato nei giornali. Bisogna però vedere per credere, e non abbiamo visto dall'alto del sellino, posizione assai privilegiata. L'unico aspetto che ci fa capire che la situazione non è normale è la presenza di moltissimi poliziotti, tutti con giubbotti antiproiettile.

Ma ripensando a quelli trovati alla frontiera - che pur ci hanno sottoposto ad un serrato interrogatorio per sapere il motivo per cui abbiamo intrapreso questo viaggio, cosa avevamo fatto in Siria, chi avevamo incontrato, se ci conosciamo da tanto tempo etc... - nel complesso non possiamo dire di essere stati trattati male o di avere un cattivo ricordo delle forze dell'ordine.

Ci scusiamo con i lettori se non troveranno quello che sperano, l'entusiasmo o l'esaltazione dell'arrivo: lasciateci ancora qualche giorno. Vi garantisco che siamo contenti ed entusiasti, ci mancano solo le parole.

Parole che però vogliamo spendere per tutti gli amici che ci hanno sostenuto, i molti che ci hanno aiutato anche materialmente per realizzare quel sogno che oggi abbiamo visto concretizzato. Non riusciamo a citarli tutti ma li accomuniamo in un unico grande abbraccio. Come pure salutiamo e ringraziamo le centinaia e centinaia di persone - siamo arrivati ad oltre 6000 contatti - che ci hanno seguito nel nostro sito, incoraggiato e fornito ulteriori motivazioni per continuare a percorrere fino in fondo le nostre strade di pace.

Grazie veramente di cuore a tutti: certe cose da soli non si potrebbero mai realizzare!

Come pure ringraziamo sentitamente il personale e i funzionari delle ambasciate e dei consolati delle nazioni attraversate: il loro aiuto e sostegno sono stati decisivi.

Oggi, ad esempio, il dott. Marino del consolato italiano a Gerusalemme ci ha sostenuto in maniera decisiva, addirittura è venuto in frontiera israeliana e ci ha agevolato durante le complesse lungaggini burocratiche, talmente complesse che trasformano quella frontiera in una delle più complicate e difficili del mondo da attraversare. Del resto, c'è da capire perfettamente il motivo: solo due ore e mezza per entrambe le frontiere, con nostro mezzo completamente stipato di bagagli credo possano costituire un record da iscrivere nel Guinness dei Primati!

E anche l'Ambasciata italiana di Tel Aviv ci ha dato un supporto notevolissimo, dato che alle 17 è arrivata dalla capitale la dott.ssa Della Seta, dell'Ufficio Culturale, che ha coordinato l'incontro con la municipalità di Gerusalemme, nello specifico col Responsabile degli Affari Internazionali del Sindaco di Gerusalemme, il dott. Jacob Rosen, che ci ha accolti con entusiasmo ed ha ricevuto da noi i messaggi di pace e i doni del Sindaco di Venezia, della Provincia di Venezia, del Comune di Bassano del Grappa, del Comune di Fontaniva, una litografia del noto pittore naif dell'altopiano di Asiago Gerry Lunardi.

E da oggi siamo ospiti della splendida struttura gestita da Don Aldo Tolotto, il Notre Dame of Jerusalem Center, situato in zona strategica, a due passi dalla città vecchia e dalle mitiche mura di Gerusalemme. Ci aspettano dei giorni magnifici ed intensi, anche se mi sa che anche questa volta risulteranno troppo brevi.

Punto tecnico

Tappa si soli 104 chilometri, come si addice alla tappa finale di un viaggio. I primi 55 sono stati una picchiata di 1200 metri in discesa a curva amplissime e dolci, si superano facilmente i 70 chilometri all'ora, poi, dopo la frontiera, la strada spiana per 10 chilometri e quindi s'impenna per gli ultimi 30. Salita continua ma non durissima, resa difficile soprattutto dal grande caldo e dal fatto di essere in mezzo al deserto. Partire poi da -400 sotto il livello del mare certamente non aiuta.

La palma dell'ultima foratura la conquista il sottoscritto, in salita ovviamente. Nei prossimi giorni ragguaglieremo sulla quantità di forature effettuate in questi giorni.

Partenza ore 6.40, arrivo ore 14.55, tempo effettivo h. 4,23, media oraria 23,2, chilometri 104, totale parziale km 3953. 


3 settembre 2004

Gerusalemme - Betlemme km 23 (3982)

Se ieri è stata una giornata indescrivibile, oggi le emozioni sono state forti, fortissime, straordinarie. Fin dall'inizio avevamo ben chiaro che le nostre mete di arrivo sarebbero state due, di ugual peso e valore, Gerusalemme, la città santa, e Betlemme, la città per eccellenza della pace, luogo di nascita di Cristo e per estensione del cristianesimo.

E oggi siamo partiti quindi alla volta di Betlemme, divisa da Gerusalemme da soli 12 chilometri ma da un muro ideologico, culturale, religioso e anche, purtroppo, ben reale, di cemento armato. Ecco lì il famoso e famigerato muro che Israele sta costruendo a dispetto di tutte le logiche e le prese di posizioni delle comunità internazionali. Arriviamo al confine, al check point, alle 10 e 20 e superiamo anche questo ostacolo con imprevedibile facilità, ancora una volta grazie all'intermediazione dell'onnipresente dott. Marino, anche oggi con noi. Passata questa barriera di cemento armato, filo spinato e giovani soldati israeliani, a dire il vero sempre sorridenti al nostro apparire, ecco che scende da una grossa jeep il nostro caro ospite, padre Ibrahim, rettore della chiesa della Natività, conosciuto in tutto il mondo per aver saputo gestire con capacità i drammatici momenti del drammatico assedio - tre anni fa - alla stessa chiesa della Natività, dove si erano rifugiati alcuni palestinesi, da parte dei soldati israeliani. Viso aperto, carnagione scura come si addice ad un egiziano, una velatura di grigio sui capelli scuri e crespi, padre Ibrahim ci viene incontro e ci saluta cordialmente. Ha in serbo per noi una graditissima sorpresa: girato l'angolo c'è un gruppo di 40 ragazzi in bicicletta che pedalerà con noi fino al centro di Betlemme. Che emozione! E' proprio quello che volevamo, ciò che speravamo. Nelle nostre intenzioni c'era l'idea di organizzare una simbolica pedalata della pace da Gerusalemme a Betlemme che coinvolgesse persone ed atleti israeliani e palestinesi una specie di staffetta virtuosa per la pace comune, ma ciò ci è stato impossibile per la distanza e per la mancanza di appoggi in loco. Questo gruppo di bambini vocianti e scherzosi come tutti i bambini del mondo sanno essere soprattutto quando sono in compagnia, è veramente un auspicio straordinario per questo nostro viaggio, una segnale di speranza, un augurio che le nuove generazioni possano muoversi liberamente per queste terre. Attualmente invece un bambino di Betlemme deve aspettare il 35 anno di età per poter mettere piede nello stato di Israele, ciò vuol dire che ad esempio nessuno di loro è stato a Gerusalemme ne mai vi metterà il piede entro i prossimi 25 anni, e questo non può che farci star male.

I ragazzi di padre Ibrahim sono tutti vestiti di giallo o di rosso e assieme al bianco delle nostre maglie si forma un variopinto gruppone a due ruote che parte assieme in direzione della Chiesa della Natività dove ci aspetta il sindaco di Betlemme Hanna Nasser assieme al Governatore della città. Insomma, un arrivo in pompa magna, proprio mentre è in corso - davanti al Centro della pace - una importante mostra di artisti palestinesi sul tema della identità e della patria organizzata assieme al Comune di Venezia. Avrebbe dovuto esserci infatti anche in rappresentanza del Sindaco la Presidente del Consiglio Comunale di Venezia, l'amica Mara Rumiz già presente alla partenza in Piazza San Marco, ma sopraggiunti improrogabili impegni l'hanno costretta a disertare l'appuntamento. Peccato.

Il sindaco ci accoglie con parole di affetto anche se non manca di sottolineare la mancanza della scritta Betlemme sulla nostra maglia che riporta solo la destinazione Gerusalemme. Eppure Betlemme l'abbiamo scritto ovunque ma sulla maglia non ci stava: di equilibrismi e di compromessi ne abbiamo fatti molti ma evidentemente qualcosa ci è scappato. Purtroppo quando si parla di queste cose il bilancino è uno strumento necessario anche se qualche volta viene usato con una certa esasperazione. Ma, a parte questo piccolo incidente, le parole sono calorose e traspare dalle stesse un ringraziamento per essere venuti da così lontano e aver fatto tanta fatica per portare il nostro messaggio. Gli consegniamo quindi il dono e la lettera del Sindaco di Venezia, il gagliardetto dell'AIL, quello del Comune di Fontaniva mentre al governatore di Betlemme consegniamo la targa della Provincia di Venezia.

Poi tutti a vedere la basilica della Natività, dalla caratteristica porticina molto bassa per cui bisogna chinarsi, in segno di rispetto e di umiltà, per entrare. Il complesso religioso è suddiviso e gestito da tre diverse comunità religiose, quella armena, quella greco-ortodossa e quella francescana, e questa triripartizione è frutto di un equilibrismo religioso-politico che ricorda molto da vicino quello di cui si è parlato poc'anzi, con l'uso del bilancino. Evidentemente da queste parti si usa così. Emozionante la visita alla Grotta della Natività, con il luogo dove è stato deposto il Bambin Gesù appena nato. E' un luogo che ha toccato il cuore di tutti noi, è veramente difficile restare indifferenti davanti a luoghi importanti come questi, luoghi che in qualche modo hanno toccato e segnato le sorti dell'umanità attraverso la religione.

Dopo un giro di compere in cui ci siamo scatenati nell'acquisto soprattutto di presepi, il clou della giornata è stato il pranzo offerto da padre Ibrahim, alla presenza del Governatore e del Sindaco, a tutti noi. La gentilezza, la schiettezza e la familiarità con cui siamo stati ospitati resterà per sempre nei nostri ricordi. E' stata una giornata veramente bellissima, l'accoglienza dei bambini e la pedalata con loro, le belle parole degli esponenti politici, le poche ma intense parole di padre Ibrahim sono sicuramente sufficienti a giustificare un viaggio come questo.

Particolarmente impresse ci sono restate le parole  di questo padre che ci ha raccontato con semplicità il dramma vissuto qualche anno fa dell'assedio, durante il quale ha visto ben otto persone morire colpite dai colpi degli israeliani, colpi che hanno sfregiato anche l'interno del chiostro, alcune statue e molti stipiti delle porte.

Sono giornate come questa che ci fanno capire della bontà della scelta del nostro tipo di viaggio, delle nostra esperienza. Sono giornate come questa che ci danno la voglia di continuare, di organizzare altre spedizioni di questo tipo che ci mettono in contatto con tante persone diverse, che arricchiscono minuto dopo minuto, chilometro dopo chilometro, incontro dopo incontro.

Ci accorgiamo che siamo ancora sulla strada e che stiamo già pensando ad un eventuale prossimo viaggio. Ma questo non si è ancora concluso, ci sono ancora molte cose da vedere e da assaporare.

Vogliamo concludere questi pochi appunti con un ringraziamento al quattordicesimo uomo in campo, ad Aldo, che ci ha seguito quotidianamente e ci ha aiutato ad aggiornare il sito, con una costanza e dedizione veramente meritorie. Questa volta non ha potuto essere con noi ma con noi è sempre stato, nei nostri cuori e nelle nostre parole, sicuramente ci sarà nei viaggi futuri. Lo aspettiamo, vogliamo che torni il nostro Capitano.

Partenza ore 9.40, arrivo ore 17.55, tempo effettivo h. 1,05, chilometri 23, totale parziale km 3976.


4 settembre 2004

Sosta a Gerisalemme

Oggi è l’ultimo giorno della nostra permanenza in Israele: domani infatti torneremo in Italia e quindi la giornata odierna è totalmente dedicata alla visita delle principali attrattive di Gerusalemme.

Basilica del Santo Sepolcro, Via Dolorosa, Monte degli Ulivi, Tomba della Vergine Maria, bagno di folla nel quartiere ebraico, in quello arabo, in quello cristiano e in quello armeno.

Luogo veramente straordinario e ricchissimo, la visita alla città vecchia ci fa venire la pelle d’oca, un’emozione veramente indicibile. Ci pare di camminare contemporaneamente dentro le pagine della Bibbia e dei Vangeli: ad ogni angolo si sfoglia una pagina, un versetto, un passo, ogni pietra parla ed evoca luoghi mitici e mistici. Ecco quindi presso l’Orto dei Getsemani, la torre di David, il Santo Sepolcro, la Via Crucis con le sue 14 stazioni: tutto vissuto dal vero, percepito sotto le suole delle scarpe che hanno calpestato pietre millenarie, visto attraverso gli occhi che si sono posati sulle bianchissime mura della città e sulle sue molteplici porte come quelle di Jaffa e di Damasco.

Un’esperienza unica, veramente consigliabile a dispetto dei non moltissimi turisti che abbiamo avuto modo di incontrare. Invece Gerusalemme è una città che, seppur inquietante per il numero elevatissimo di controlli e di posti di blocco, non sembra essere paradossalmente una città pericolosa, una città in guerra. Se ci si è dentro non si respira questo clima, o meglio, lo si respira ma la straordinarietà dei luoghi fa dimenticare ben presto tutto ciò e supera di gran lunga i disagi e le brutte sensazioni: il gioco vale veramente la candela. Io personalmente infatti mi sono fatto raggiungere senza alcun dubbio dalla mia famiglia e non esiterei un istante a rifarlo: ciò che ha visto in questi tre giorni mio figlio Fausto – diventato immediatamente la mascotte dei ciclisti – se lo ricorderà per tutta la vita, ne sono convinto.

Ovviamente non è tutto rose e fiori, mon mancano i momenti di smarrimento e di difficoltà: restiamo ad esempio allibiti alla vista di un gruppo di una ventina di giovani coloni in visita a Gerusalemme, tutti in magliette colorate e pantaloncini corti, ma tutti anche con un mitragliatore a tracolla, come niente fosse.

Ecco, queste cose ci fanno capire che questo stato vive una realtà drogata e inquietante, per nulla rassicurante: se questo produce tensione a noi, chissà come deve vivere tutto ciò un palestinese!?

Tra gli aspetti che ci hanno colpito di più di questa città il principale senza dubbio è quello della totale commistione tra le religioni. Moschee, chiese, sinagoghe sorgono le une accanto alle altre e l’ebreo che vuole andare a pregare al Muro del Pianto deve passare anche per il quartiere cristiano e le stazioni della Via Crucis. Le principali e spettacolari moschee invece, situate nella notissima e straordinaria “Spianata delle Moschee”, sovrastano e dominano il Muro del Pianto stesso. Insomma questa città, in qualche modo drammaticamente dalle religioni e per le quali si continua a dividersi e a combattere, riporta un intreccio e una commistione delle stesse che le rende veramente inscindibili.

Situazione assolutamente anomala è pure quella della Chiesa del santo Sepolcro, affidata a diverse comunità cristiane – cattolici, armeni, greci-ortodossi, copti, siriani ed etiopi-cristiani – spesso in contrasto tra di loro per la suddivisione dei ruoli e la gestione degli spazi. Si arriva quindi al paradosso che ogni confessione dice le sue orazioni e gestisce i propri rituali ad orari prestabiliti, scanditi dall’orologio e allo scadere del tempo a disposizione deve arrotolare tappeti e lasciare il campo a quella successiva, un vero e proprio cambio della guardia assolutamente curioso ed incongruo per chi vi assiste dall’esterno. E a rendere tutto ancor più paradossale, sapete chi ha le chiavi della chiesa ed apre e chiude i battenti? Una famiglia musulmana. Se no i xe mati no li volemo.

Certo che se le cose stanno così e sei diverse comunità cristiane non riescono a trovare un accordo sulla gestione di una singola chiesa, per quanto importantissima per la cristianità, potranno mai il popolo israeliano e palestinese convivere in pace, uno a fianco all’altro, come è nei nostri auspici?

Domanda da mille punti, che la sera rivolgiamo al Nunzio Apostolico in Israele, monsignor Sambi, che abbiamo l’onore di avere a cena con noi.

Persona acuta e assolutamente interessante, la conversazione avuta con lui sui temi della pace e dell’amore applicati alla realtà di questa terra è senz’altro un piccolo grande bagaglio che ci portiamo a casa da questa esaltante esperienza.

E ora, saluti a tutti, torniamo a casa, il nostro viaggio si è esaurito lasciando dentro di noi un atraccia sicuramente indelebile.

E’ stato emozionante e bellissimo condividerlo con tutti VOI lettori e di questo vi ringraziamo sentitamente: siete stati sicuramente il motore che ci ha spinto ulteriormente e ci ha dato energia per arrivare alla sospirata meta.

Rimaniamo in contatto, cari amici, questo sito resterà aperto a tutti voi e riusciremo a dialogare maggiormente rispetto a quanto non siamo riusciti a fare e con maggior profondità. Infatti per problemi tecnico-logistici e di tempi ristretti, non abbiamo potuto in questi giorni rispondere alle vostre mail e ai vostri messaggi. Ce ne scusiamo ma sappiate che avremmo tanto voluto farlo.

Spero che abbiate voglia ancora di intrattenere rapporti con noi: noi – a nostra volta – nei prossimi giorni, anzi nei prossimi mesi, cercheremo sicuramente di organizzare degli incontri pubblici per raccontare la nostra esperienza.

Contiamo di vederVi e di incontrarVi. Vi terremo certamente informati, sempre tramite il sito.

Grazie e… arrivederci al prossimo viaggio.