Padova-Roma con l’AIL / 2006

 
 

Lunedì 23 settembre. E dunque, tutti in sella, è ora di partire! Per la quarta volta in quattro anni alcuni ciclisti veneti affrontano in bicicletta le strade del mondo allo scopo di diffondere, attraverso la loro laboriosa e paziente pedalata, le molteplici iniziative intraprese dalla sezione padovana dell’AIL.

“I mille colori della vita” è il nome dato a queste spedizioni ciclistiche, il cui obiettivo è di aumentare l’opera di sensibilizzazione promossa dall’Associazione Italiana contro le Leucemie, di sollevare l’attenzione nei confronti di questa malattia che continua a colpire i bambini e i giovani che stanno per affacciarsi alla vita e conseguentemente di raccogliere fondi per potenziare la ricerca.

Nel 2003 la prima iniziativa ciclistica ha portato i ciclisti ad affrontare le distese scandinave da Oslo fino a Capo Nord, nel 2004 invece li ha visti pedalare da Venezia attraverso i Balcani e l’Anatolia per arrivare in Medio Oriente e precisamente a Gerusalemme e Betlemme, nel 2005 invece il nutrito gruppo di pedalatori ha attraversato da Padova la Mitteleuropa per giungere fino a Stoccarda in occasione del “Congresso Internazionale sui Sarcomi”.

È passato un altro anno ed oggi si intraprende per la prima volta un percorso tutto italiano che collega Padova a Roma attraverso il nastro d’asfalto che si srotolerà attraverso le sedi AIL delle più importanti città del Nord e Centro Italia, come Ferrara, Bologna, Firenze e Orvieto. All’arrivo trionfale nella splendida e nuovissima sede AIL nazionale a Roma seguirà – il giorno successivo – la partecipazione in Piazza San Pietro all’Udienza generale del Papa Benedetto XVI.

Questo il programma, ma ora è giunto il tempo di salire in bicicletta, di indossare le nostre divise colorate, di salutare le autorità e gli amici riunitisi davanti a Palazzo Moroni – sede del Comune di Padova – e... partire.

Siamo in 13 ciclisti e quattro accompagnatori: in bicicletta sfogano la loro voglia di “menare i pedali” Paolo, Stefano, Gianfranco, i due Alberti, Giuseppe, i due Giovanni, Romeo, Flavio, don Giampietro, Antonio, Ivo mentre li accudiscono nei due automezzi al seguito il presidente della sezione padovana Ail Armenio Vettore, il fotografo Dino Juliani, l’autista del primo mezzo Armando e l’autista del secondo mezzo nonché coordinatrice dell’intera iniziativa Franca Lovisetto.

Finite le presentazioni, ci avviamo già in direzione di Ferrara, dove lo staff della sezione locale ci aspetta in centro per festeggiarci; il tempo di capire cosa ci aspetta per le strade del nostro Veneto, trafficate, rettilinee, caotiche, non particolarmente entusiasmanti dal punto di vista panoramico, se si esclude qualche scorcio rubato con gli occhi da questa carovana di ciclisti in fila indiana: il bel ponte di Battaglia Terme che si specchia nelle acque del suo canale, le pendici dei colli euganei lambiti dalle nostre ruote, l’attraversamento del fiume Adige e poi, sinceramente, solo ed esclusivamente la statale.

Ma a Rovigo ci rinfranca la vista del Leone di San Marco che svetta dall’alto di una bella colonna in pietra d’Istria nel cuore della città, in Piazza Vittorio Emanuele II.

Poi ancora traffico – cui rispondiamo con andature francamente sostenute – l’attraversamento del Po a Polesella, dove sembra ancora rimbombare l’eco della terribile battaglia tra veneziani e ferraresi del XVI secolo, e infine l’arrivo trionfale per pranzo nella città estense, scortati dagli amici dell’AIL di Ferrara che ci pilotano fino ad un banchetto organizzato in nostro onore. Si percepisce la stessa sensibilità, un’unità di intenti, lo stesso comune denominatore che fa sì che persone sconosciute si sentano vicine fra loro.

Dopo il generoso spuntino ci godiamo una bella escursione per la città estense ad ammirare il Castello, muto custode del centro antico, i bei portici, il curioso padimetro che riporta e registra le piene del Padre Po ma ci lasciamo sfuggire anche qualche sana imprecazione nei confronti del fastidiosissimo pavè, il terrore dei pedalatori.

Quindi si rimette il timone verso sud e di volata puntiamo verso Bologna grazie a lunghissimi rettilinei che ci fanno pensare a quanto indietro siamo in Italia con la cultura dei percorsi alternativi e protetti per le persone che scelgono si spostarsi e di viaggiare in bicicletta. Al momento solo traffico ed asfalto, smog e clacson. Ma con questa rabbia in corpo arriviamo fino alle porte della città felsinea.

Qui giunti ci gettiamo volentieri nelle popolose vie del centro, brulicanti di vita e di gioventù – un vero piacere per gli occhi anche per noi che giovani non siamo più– fino ad arrivare in Municipio dove siamo ricevuti dal vicesindaco che durante una semplice ma calorosa cerimonia nell’imponente cortile municipale ci ha rivolto sentite parole di ringraziamento e incoraggiamento per la nostra azione solidale.

Quindi l’allegrissima tavolata serale è la testimonianza reale che il vino può essere un ottimo lubrificante per le gambe e soprattutto per i nostri animi: ci aiuterà a gettare, domani, il cuore oltre l’ostacolo degli Appennini e dei due irti passi della Raticosa e della Futa, silenti sentinelle poste a guardia della spina dorsale della Penisola.


Domenica 24 settembre. Il sole splende e ci accompagna durante la nostra galoppata appenninica che passa per San Lazzaro di Savena e per Pianoro prima di affrontare le prime rampe. Il sole, il clima mite, l’atmosfera di cordialità e di amicizia tra noi ciclisti, il costante ausilio dei due pulmini che forniscono, a richiesta, approvvigionamenti di frutta, merendine, barrette energetiche, acqua sempre fresca, le strade finalmente poco trafficate; insomma tutto spinge a trasformare questa tappa odierna in una bella passeggiata, piacevole, goduta, assaporata, con ampi panorami. Sono strade mitiche queste, che hanno visto spesso i protagonisti della mitica corsa automobilistica “Mille Miglia” e infatti ci aspettiamo sempre di veder spuntare dietro una curva la faccia sporca e gli inconfondibili occhialoni di Tazio Nuvolari al volante della sua sbuffante Alfa Romeo. E in effetti, mano a mano che si sale, il traffico diminuisce e restano solo gli appassionati di motociclette che sembrano sfidarci a un impari duello, anche se il gruppo di testa affronta le rampe a ritmi – almeno per me – vertiginosi. E qui ovviamente il gruppo si sgrana: in salita la regola aurea è che ognuno vada su con il proprio passo e ci si aspetti in vetta. Mi sa che oggi i miei compagni dovranno portare tanta pazienza con me! La salita comunque non è dura anche se si fa sentire dato che dura una trentina di chilometri, sfiorando borghi quasi dimenticati, pennellando curve che disegnano precisi ricami nei boscosi declivi appenninici. E a Monghidoro, poco prima di entrare in Toscana, avviene un inatteso e piacevole gemellaggio tra noi dell’AIL di Padova e il celeberrimo Centro Protesi di Budrio che sta lì organizzando una festa cittadina con raccolta di fondi; pensando all’inserimento nella vita normale delle persone che hanno subito un grave trauma la nostra mente non può non andare immediatamente al nostro Bepi, omino di ferro, che anche oggi è coi primissimi in salita nonostante sia privo del braccio destro a causa di un incidente sul lavoro e che a 60 anni continua a stupire tutti staccandoci sempre in salita. Mannaggia a lui e alla sua incredibile forza, fisica ed interiore!

Superato di slancio il Passo della Raticosa, quello successivo della Futa ci ospita in allegra tavolata imbandita perfettamente dal nostro staff di supporto, il presidente Vettore, Franca, il fotografo Dino e Armando. Due ottimi ed abbondanti panini riempiono i nostri serbatoi – che già tendevano al rosso – di sana energia per coprire i restanti 45 chilometri per Firenze.

Ma la tanto agognata discesa dura ahimé troppo poco e la strada ci offre un continuo saliscendi e quindi capiamo ben presto che – come sempre avviene in bicicletta – nessuno ti regala niente e che anche questa Firenze dobbiamo conquistarcela tutta a suon di possenti pedalate.

Il premio è senza dubbio senza uguali: un’indimenticabile visita serale al salotto-bene della città, Piazza della Signoria, David di Michelangelo, Ponte Vecchio, il Duomo, il Battistero, tutti visti con l’orgoglio di chi è giunti fin lì solo grazie alle proprie forze. Se si aggiunge che nel tardo pomeriggio avevamo assistito alla trionfale volata grazie a cui Paolo Bettini è diventato Campione del Mondi di ciclismo su strada, si può ben capire come questa era tutti noi ci sentiamo dei campioni. Magari solo di solidarietà, ma vi pare poco?


Lunedì 25 settembre. Tutto passa sempre troppo in fretta, soprattutto le belle sensazioni, e la mattina dell’indomani ci riserva la sorpresa di un cielo grigio come la cenere e brutto come la fame. Capiamo fin dall’inizio che non risparmieremo la pioggia.

Comunque l’inizio della tappa, che dovrà portarci ad Orvieto, è a dir poco spettacolare perché, grazie ad una deviazione (Romeo sostiene infatti che i ciclisti non sbagliano mai la strada, al massimo effettuano una deviazione...) di ben 15 chilometri ci godiamo dall’altro di una collina una spettacolare vista del centro cittadino e della cupola del Brunelleschi che, pur specchiandosi nel cielo grigio e tetro emana una luce ed una carica particolari.

“Dai, pedala, ché evitiamo la pioggia” e allora via veloci, a più non posso, lungo la valle dell’Arno con il nastro d’argento del fiume da pedinare. Cipressi, verde umido, qualche fabbrica, il coperchio grigio del cielo che ci sta rinchiudendo in una pesante pentola: le prime gocce di pioggia arrivano a S. Giovanni Valdarno. Indossiamo la mantellina e poi via, subito a pedalare verso Arezzo: e la tappa si allunga pure poiché decidiamo di evitare una dura salita che avrebbe accorciato il tragitto ma solo in termini di chilometri e non certo di tempo. Poi in queste condizioni la pioggia in discesa costituisce un’insidia troppo grossa: se si può si evita. Ed allora ecco il gruppo muto pedalare, si sente solo il ticchettio delle gocce che rimbalzano sui caschi e sui telai della bici, bisogna stare attenti ad evitare gli enormi spruzzi sollevati dalle ruote dei compagni che ti precedono. Dopo Arezzo, percorsi 100 chilometri, effettuiamo una sosta per mangiare un panino in piedi, sempre sotto l’acquazzone.

Si capisce fin d’ora che la tappa avrà dei contorni epici, o da tregenda, scegliete voi il termine, e i nomi dei paesi che si susseguono, alla ripresa della pedalata, sembrano confermarlo in pieno: il beffardo cartello di Ossaia accoglie il gruppo indirizzandolo verso il lago Trasimeno, incupito come noi.

Eppure si intuisce che il panorama sarebbe splendido con il sole, ma oggi tocca così.

Si mastica fango, la pioggia grigia lascia in bocca un gusto dolciastro, sotto i denti scricchiolano granelli di questa bella terra rossa toscana, oggi però così diversa. Città della Pieve ci accoglie con il suo bel centro arroccato e ci offre il conforto di un caffé bollente, troppo breve ristoro per le nostre membra intorpidite dal freddo e dai continui saliscendi, veramente spossanti. E Orvieto appare finalmente ai nostri occhi come una terra promessa, un eden terrestre, anche se per conquistarselo c’è da affrontare un ultimo inferno, l’ascesa finale di 4 chilometri che spinge il nostro computer da manubrio a fermarsi a quota 217 chilometri.

Niente da dire, siamo stati bravi, tosti e determinati, come veri atleti. Guardo gli occhi convinti di Ivo, il generoso Romeo, l’inossidabile Bepi, il forte Paolo, il tosto Gianfranco, il combattente Flavio, il grintoso Giovanni, il longilineo Stefano, il resistente Antonio, l’indomabile don Giampietro. Infine guardo anche me, Alberto, montato in furgone dopo 140 chilometri quando mi sono reso conto che stavo chiedendo troppo al mio fisico; ormai asciutto cerco di non provare invidia per i miei compagni fradici e flagellati dalle intemperie ma non ci riesco fino in fondo, anche se ai fini della nostra testimonianza di solidarietà questo non cambia nulla. Eppure noi ciclisti siamo fatti anche così, con una dose di orgoglio che a volte – ma non sempre – ci spinge anche oltre i nostri limiti.

Suggelliamo comunque l’indimenticabile tappa dantesca con un’altrettanto memorabile mangiata nella splendida orvieto che si offre ai nostri occhi luccicante e splendente.


Martedì 26 settembre. La mattina dopo, in albergo, prima della partenza, ci viene a rendere omaggio un rappresentante del Sindaco che ci porta i saluti della città di Orvieto.

E finalmente puntiamo verso la Città eterna, che ormai abbiamo bel mirino e c godiamo finalmente uno splendido percorso poco trafficato e allietato dal sole che ci porta fino ad Amelia e poi a Civita Castellana. Saliscendi, belle curve, poi sfilano davanti ai nostri occhi borghi abbarbicati, chiese medievali, prati verdissimi, addirittura un candido gregge di pecore che occupa interamente un ponte stradale bloccando momentaneamente il traffico. E proprio nei pressi di Civita Castellana il gruppo vive il momento più intenso e toccante dell’intero viaggio, quando ci rechiamo sulle rive del Tevere, nel luogo esatto in cui tre anni or sono è volato fuori strada lasciando la vita Claudio “Uno”, fratello di Paolo e cognato di Gianfranco. Con un breve rito celebrato da don Giampietro abbiamo voluto rendere omaggio a questo ragazzo conosciuto da molti dei presenti e che ha lasciato un vuoto enorme in famiglia e nella sua larghissima schiera di amici ma che sopravvive nel ricordo anche grazie all’iniziativa proprio di suo fratello Paolo, oggi scosso e commosso, che gli ha dedicato il nome del team ciclistico di cui è presidente: indossando la sua divisa da ciclista lui porta quotidianamente con sé in bicicletta suo fratello “Uno”.

Ma siamo alle porte di Roma e imboccata la Flaminia ci troviamo su un taboga di saliscendi belli e crudeli che ci indirizza verso la capitale, la cui vicinanza si intuisce dal traffico in aumento. Ma entrare a Roma in bicicletta dal raccordo anulare può equivalere ad un suicidio ed è solo grazie alla solerte presenza dei vigili urbani, da noi precedentemente allertati, che usciamo vivi da questa esperienza veramente incredibile, in cui ci siamo sentiti delle palline da flipper sballottate di qua e di là da queste scatole di sardine sempre in agguato e pronte a travolgerci. L’attraversamento della città avviene a suon di sirene spiegate e su corsia preferenziale dovendo noi fare gli equilibristi tra le rotaie del tram: un ulteriore esercizio di stile e l’ultimo rischio.

La ricompensa però è veramente di quelle importanti: arriviamo infatti, incredibilmente puntuali nonostante i 30 chilometri di caotico traffico cittadino, presso la sede nazionale dell’Ail, accolti ed incoraggiati da un nutrito gruppo capitanato dal prof. Franco Mandelli, luminare dell’ematologia. Abbracci, sentite parole di ringraziamento, una calorosa dimostrazione di affetto ci ha scaldato i cuori e ci ha fatto capire che questa piccola nostra testimonianza ha lasciato una pur lieve ma significativa traccia nel cuore delle persone incontrate lungo la strada.

670 chilometri in bicicletta da Padova a Roma: il miglior modo di coniugare la nostra passione per le due ruote con il bisogno di realizzare iniziative solidali, il desiderio di sentirsi bene atleticamente ma senza astrarsi dal mondo reale, che ha pur sempre tanto bisogno dell’aiuto di molti. La nostra è stata senz’altro una testimonianza limitata, ma è anche la dimostrazione che con il coraggio, la forza interiore e la tenacia si superano ostacoli che possono apparire insormontabili, sia che si chiamino salite o ancor più quando sono malattie dai nomi drammatici ma da non demonizzare.


Mercoledì 27 settembre. Il momento conclusivo della spedizione è avvenuto oggi, quando tutto il gruppo ha partecipato all’Udienza generale di Papa Benedetto XVI in Piazza San Pietro, ricevendo anche una pergamena in ricordo della sua missione ciclistica. Quindi tutti a casa.

Fino al prossimo viaggio.